Il pensieroso di Franz Liszt: un discorso musicale – filosofico davanti al dramma della morte.

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di Smeralda Nunnari

«Grato m’è il sonno, e più l’esser di sasso / Mentre che il danno e la vergogna dura, / Non veder, non sentir m’è gran ventura / però non mi destar, deh’ – parla basso». (Michelangelo Buonarroti, La Notte).

Franz Liszt, geniale compositore ungherese e direttore d’orchestra, universalmente riconosciuto come uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, conteso nei salotti e nelle sale da concerto di tutta Europa, con il suo virtuosismo pianistico, ha incantato l’aristocrazia e la borghesia ottocentesca.

Attorno all’artista, considerato punto di riferimento culturale, gravitano studenti, pensatori ed artisti, tra cui: Frédéric Chopin, George Sand, Hans von Bülow, Hector Berlioz, Richard Wagner, Cesar Franck, Camille Saint-Saëns, Bedřich Smetana, Edvard Grieg e Alexandre Borodin.

Il Pensieroso è il secondo numero tra i sette che compongono il secondo volume degli Années de pèlegrinage, tre raccolte di pezzi ispirate ai viaggi che il compositore effettua in Svizzera e in Italia, a partire dal 1835, durante la fuga amorosa, con la contessa Marie d’Agoult. Il secondo libro, dedicato all’Italia, è ricco d’impressioni e suggestioni dategli dalla visione di opere d’arte e dalla lettura di sonetti del Petrarca e dei canti della Divina Commedia. I tre volumi rappresentano le tappe di un unico percorso spirituale, che rispecchia la lotta dello spirito per sfuggire alle limitazioni della materia e del tempo, nel primo volume attraverso la natura, nel secondo attraverso l’arte e nel terzo attraverso il misticismo e la fede.

Nella Basilica fiorentina di San Lorenzo, la statua di Lorenzo de’ Medici, scolpita da Michelangelo Buonarroti, per le tombe medicee, consente a Liszt, una serie di riflessioni e costituisce motivo d’ispirazioni sonore. L’artista, attraverso il potere della sua infinita poesia musicale, riesce a donare un soffio di vita divino, tale da animare la scultura, inserita in una nicchia, che rappresenta il duca d’Urbino, in posa pensosa, ritratto in abiti d’antico generale romano.

Liszt, attraverso questo brano, traduce in suoni il duro silenzio del marmo, intersecandolo con i due distici della quartina, già, citata in apertura di quest’articolo e riportata dal compositore, in esergo, alla sua partitura. Sono le parole della Notte, che rappresenta una delle quattro allegorie del tempo, insieme al Giorno, all’Aurora ed al Crepuscolo, scolpite da Michelangelo, per i sepolcri medicei: Un elogio michelangiolesco al sonno, come rifiuto del dolore. Essere di pietra, non vedere, non sentire è un privilegio. Il «sonno» e «l’esser di sasso» consentono una rivolta silenziosa, che si trasforma in un quietismo politico e morale, in una Firenze corrotta, turbata da conflitti politici e sociali. Il sonno e la dura pietra diventano strumenti, per sottrarsi all’amara realtà, evitando il male. Un riparo momentaneo, quindi, non una forma di abbandono nichilista.

Ne Il pensieroso, dal ritmo lento¸ in do diesis minore, il linguaggio musicale si trasforma in un veicolo d’interiore meditazione metafisica, profondamente eloquente, espressione di solennità e drammaticità. Il pensieroso è colui che, nel dialogo tra la notte ed il giorno, voltando le spalle al giorno, s’immerge nel silenzio dell’eterno, per riflettere sul mistero della vita, della morte e dell’aldilà. Un dialogo dell’anima, con sé stessa e con l’infinito, alla ricerca del divino, dell’assoluto o di una verità che possa placare l’inquietudine esistenziale. In queste pagine, il compositore dà voce al silenzio interiore di quell’uomo pensante, che attraversa la notte, non per restarvi, ma per cercare la luce.

L’incipit assume i toni di una marcia funebre, instaurando un’atmosfera solenne e rituale. Il tema monocorde, costruito su una singola nota ossessivamente ripetuta, simboleggia riflessione immobile. In una sorta di dialogo interiore, il pensiero cerca risposte, introducendo accordi sempre diversi, sotto ogni nota ripetuta. La tessitura iniziale rasenta il monocromo.      Ed, intanto, cresce la tensione interiore. Ad un climax dinamico, segue una catabasi e ritorna il silenzio: l’impossibilità di trovare risposte, un senso di scacco. Nella ripresa, ritorna il tema, modificato dall’introduzione di crome oscillanti, come se la meditazione iniziasse a trovare un terreno stabile. Compare un momento dell’agognata speranza, come un raggio di luce. Nella coda, si riprendono gli umori oscuri iniziali, con un triplice rintocco conclusivo, carico di retorica, che non chiude definitivamente il discorso. Resta una fiamma quieta, che non si lascia spegnere dal nulla.

Liszt fa dialogare arte, poesia e filosofia, in una densità di accordi che, unita a sottili spostamenti armonici e dissonanze, crea una ricca e scura tavolozza sonora, rispecchiante le ombre e la profonda contemplazione malinconica della statua. Quest’approccio all’armonia, che privilegia l’atmosfera e la profondità psicologica rispetto alla chiarezza melodica tradizionale, anticipa le successive tendenze impressionistiche, mostrando una lungimiranza anticipatrice del tempo a venire. Il pensiero dialettico-filosofico, in Liszt, diventa spirituale, drammatico, personale. La musica stessa pensa: riflette, s’interroga, si nega, si rinnova.

Il Pensieroso non è solo un brano, ma un manifesto musicale del profondo sincretismo lisztiano: una sintesi sublime di opposti, un ponte tra mondi diversi, che s’incontrano nel silenzio del pensiero. Una meditazione sonora sull’essere e sul divenire. Attraverso questa composizione, Liszt ci parla della vita come di un viaggio, in cui la ricerca di senso attraversa inquietudini, luci, ombre e silenzi, dove la musica diventa la voce di un’anima, che non si arrende. Pagine che diventano, così, un luogo d’incontro e conciliazione: un crocevia tra ragione e fede. La musica non si limita a raccontare, ma invita l’ascoltatore ad un percorso interiore, un cammino di meditazione, dove il sincretismo dell’artista appare come la forza che tiene insieme opposti, altrimenti inconciliabili. Sono le note di un pellegrino, un profeta, che ha cercato e, talvolta trovato, l’assoluto nei tasti del pianoforte.

 

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