INTERVISTA AL TENORE UGO TARQUINI, PROSSIMO PROTAGONISTA DELL’OPERA “TREDICI SECONDI” ALLA BIENNALE DI VENEZIA 2019


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di Margherita Malena

 

Ugo Tarquini sarà il tenore protagonista di una inedita opera contemporanea, in un unico atto, dal titolo “Tredici secondi o Un bipede implume ma con unghie piatte”, musicata dal maestro Marco Benetti su libretto di Fabrizio Funari.

Questa opera, plasmata sulla figura artistica del Maestro Tarquini, andrà in scena alla Biennale di Venezia domenica 6 ottobre 2019 ore 19:00 presso il teatro Piccolo Arsenale.

 

Il prossimo 6 ottobre parteciperà alla Biennale di Venezia con una opera inedita, in un unico atto, dal titolo “Tredici secondi o Un bipede implume ma con unghie piatte”. Il suo personaggio è plasmato sulla sua figura artistica. Ci spieghi questo concetto e ci parli di questa sua partecipazione alla Biennale.

 

La proposta di collaborazione è arrivata da più fronti: la prima persona a contattarmi è stata una mia cara amica nonché addetta ai lavori nell’ambito del teatro lirico con cui ho avuto spesso il piacere di collaborare. Ad essa Marco Benetti, il compositore dell’opera in questione, ha chiesto un parere riguardo un profilo di tenore adeguato per la sua composizione. Sia lei che Marco avevano assistito ad un mio recente debutto al Teatro Sociale di Como di una produzione As.Li.Co. di un titolo contemporaneo e inedito di grande consenso di pubblico e critica (dal titolo “Ettore Majorana, cronache di infinite scomparse”) in cui vestivo i panni di uno dei protagonisti. Avendo entrambi apprezzato la mia performance, hanno ritenuto che fossi il profilo giusto.

Ricordo il giorno in cui mi chiamò al telefono: ero a Milano a casa di un mio pianista di fiducia per ripassare lo spartito di Madama Butterfly (ero ormai prossimo alla partenza per quella che sarebbe stata una bellissima produzione ad Haifa in Israele). Mi dice: “Ciao Ugo! Un mio caro amico sta componendo un’opera per una prestigiosa rassegna, la Biennale di Venezia appunto – wow! ho pensato – e sta cercando un tenore che possa ricoprire il ruolo del protagonista…posso fare il tuo nome?”. Il progetto, che mi ha brevemente sintetizzato, ha suscitato in me immediato interesse, ho poi cominciato a sperare che le tempistiche potessero essere compatibili con l’impegno in altre produzioni per cui ero già stato scritturato.

Il giorno seguente mi chiama un caro amico, nonché straordinario compositore ed essere umano, del quale ho avuto il piacere e privilegio di debuttare un titolo, sempre inedito. La sua chiamata ha rappresentato per me non solo la conferma della stima che nutriva nei miei confronti ma anche, e soprattutto, la conferma della qualità del progetto che mi veniva proposto. Una telefonata molto simile a quella del giorno precedente, quasi un flashback: “ciao Ugo! Sono in contatto con Biennale Musica, si cerca un tenore che sia protagonista del titolo che andrà in scena, posso fare il tuo nome?”.

Nella stessa circostanza ho appreso i dettagli della produzione, incluse le date delle recite e delle prove…ero libero, per poco, ma avrei potuto accettare!

Anche il compositore Marco Benetti come dicevo, mi conosceva artisticamente, mi aveva ascoltato e (a detta sua) apprezzato nel titolo andato in scena l’anno prima al Sociale di Como…il cerchio si era bello che chiuso insomma.

 Ritengo pertinente il fatto che si parli di un personaggio plasmato sulla mia figura artistica: nel momento in cui ho dato conferma di partecipazione, la composizione era ancora in essere: mi sono confrontato molto con Marco, indicandogli le mie esigenze tecniche ed espressive che lui è stato ben felice di ascoltare. Non c’è stata necessità di ridefinire quanto avesse già scritto, d’altronde mi conosceva già e aveva ben chiara la modalità con la quale avrei potuto mettere al meglio in luce la mia parte.

 

Come ha iniziato la sua attività nel mondo operistico?

 

Beh sa, non è facile individuare un inizio esatto, le cose si evolvono man mano che passa il tempo, ed è nel tempo che la propria figura artistica e lo spessore tecnico assumono una connotazione. Lo studio della musica l’ho cominciato già da bambino, studiando pianoforte e cantando in coro. Per quanto il contesto geografico dal quale provengo non fosse molto generoso in termini di stimoli artistici, in quello familiare, al contrario, la musica è sempre stato pane quotidiano.

I tempi del conservatorio sono stati utili, oltre che alla formazione di base, per le prime esperienze solistiche di fronte al pubblico.

Se poi mi chiedi di individuare uno specifico punto di partenza, il pensiero mi va al concorso As.Li.Co, a seguito del quale sono stato scritturato per un ruolo ne “L’Olandese Volante” di Wagner in una produzione che ha interessato alcuni dei più grandi palcoscenici del nord Italia. Da lì in poi, il 2013, ho iniziato a respirare con una certa costanza l’atmosfera immortale che si respira nei nostri meravigliosi teatri.

 

Lei ha collaborato con importanti Enti e Fondazioni Liriche. Può fare un piccolo excursus di queste esperienze?

 

Nel nostro lavoro molto spesso da cosa nasce cosa, un po’ perché l’esperienza da palcoscenico ti comunica quello che nessun maestro di canto può insegnare, un po’ perché le produzioni sono solitamente ambiente di frequentazione di direttori artistici dei vari teatri, agenti e manager del mondo della lirica. Motivo questo per cui è fondamentale trovarsi nel luogo giusto al momento giusto, ma ancor più importante è arrivare a questi appuntamenti preparati, con tutte le carte in regola. Per esperienza posso dirti che è meglio non fare piuttosto che fare non troppo bene, soprattutto quando si comincia. Non è un mondo molto indulgente, e per certi versi sono d’accordo con questo criterio.

Dal momento del concorso e conseguente produzione in As.Li.Co. si sono aperte delle strade, parallelamente alcune audizioni ne hanno aperte altre. Ricordo quella, sempre nel 2013, per la “Fondazione Luciano Pavarotti” a seguito della quale Nicoletta Mantovani mi ha “eletto” ambasciatore del grande Maestro presso prestigiosissimi contesti, come il teatro Bol’šoj di Mosca o il Festival Pucciniano, con il quale ho molto collaborato negli anni successivi.

Ecco, come dicevo prima, da cosa nasce cosa. Così come è avvenuto per questo prossimo impegno a Venezia, il cui ingaggio nasce dalla fiducia e la stima delle persone incontrate lungo il mio cammino. L’importante è fare bene quando si ha l’occasione, oggi, più che mai, ogni opportunità è preziosa in tal senso.

 

Quale è il suo repertorio?

 

Ho sempre ritenuto riduttivo e, se riferito a sé stessi, un’auto castrazione, dare e darsi delle etichette. Certo, se si è carne non si è pesce, però ogni volta che mi viene proposto un debutto, se non sono già ultra convinto di poterlo fare bene, lo studio, lo provo, a volte con estrema caparbietà, prima di accettare o meno. Spesso ci si rende conto di poter dare una connotazione efficace ad un personaggio, viceversa altre.

In generale direi che la mia specificità timbrica non mi rende credibile in ruoli troppo leggeri o eterei, così come per ruoli troppo drammatici mi prendo il tempo di diventare grande 🙂 anche se, sento, la mia vocalità mi porta sempre più verso quella direzione.

Attualmente, le maggiori opportunità di repertorio che mi capitano riguardano il Verdi e il Puccini piuttosto impegnato, ruoli nei quali mi trovo benissimo sia vocalmente che, di conseguenza, espressivamente. Don José nella “Carmen”, per dirne una, è stata un’altra emozionante soddisfazione. Anche “Cavalleria Rusticana”, vi spoilero, dovrebbe essere un debutto prossimo di cui sono molto felice. Spero che arrivi presto l’opportunità di cantare anche Riccardo (o Gustavo che dir si voglia) nel “Ballo in Maschera” o di riprendere il Don Carlos, ruolo nel quale mi sono trovato completamente a mio agio.

Spesso mi capita anche di affrontare ruoli insoliti, come è valso per l’esperienza della “Turandot” di Ferruccio Busoni, decisamente meno blasonata dell’omonima di Puccini ma non meno impervia, nei panni del principe Calaf. Davvero una grande sfida.

Per finire, sono felice di arricchire la mia esperienza professionale con impegni di repertorio contemporaneo, come nel caso di questo prossimo debutto a Venezia. Queste occasioni mi danno l’opportunità di condurre una ricerca drammaturgia del personaggio molto più creativa che interpretativa, i ruoli nascono e spesso muoiono con te, sono delle proprie creature, senza togliere nulla al contributo compositivo. Tale processo di ricerca è davvero avvincente artisticamente parlando, le soddisfazioni sono di altro tipo rispetto a quelle derivanti dall’interpretazione dei ruoli più tradizionali e melodici, ma non meno gratificanti.

 

Lei è reduce da grandi successi, come quello in Israele nel ruolo di Pinkerton in Madama Butterfly di Puccini, o al teatro Filarmonico di Verona in Gianni Schicchi. Come vive il suo successo e quanto le ha cambiato la vita?

 

Le emozioni sono sempre troppe e contrastanti per poter vivere quella che è, praticamente, la propria quotidianità come un successo, sono contento che lei che mi sta intervistando e molti gli attribuiate questa connotazione, in effetti lo è, ma io sinceramente non ci penso, caratterialmente sono portato a pensare ogni giorno a costruire il domani. Forse qualche volta potrei vivere con maggiore leggerezza il presente, ma credo che non si possa scegliere cosa essere quando, attribuisco alla mia predisposizione caratteriale e al modo di affrontare la quotidianità molti dei meriti degli obbiettivi raggiunti.

 

6 Quando è impegnato in una produzione, quanto tempo dedica all’esercizio vocale e al processo di immedesimazione nel personaggio?

 

Il processo di immedesimazione non può che essere fortemente vincolato a quello dello studio vocale, sarebbe limitativo pensare di costruire un personaggio prescindendo dalle proprie caratteristiche e limiti tecnico-espressivi e ne verrebbe fuori un pallido risultato di imitazione. La voce è come un’impronta digitale, non ce ne sono due identiche, perciò il processo di “messa in voce” di un personaggio è di per sé creativo.

Detto questo, nei ruoli tradizionali, mi è capitato che questo processo durasse anche un anno. Nei ruoli contemporanei, spesso, tale processo è contestuale all’inizio delle prove: non essendo limpida la direzione drammaturgica che assume il personaggio e l’opera finché non si è in scena. Lo studio fino ad allora è più meccanico che estetico.

Posso dire che sia questo il caso di “Tredici Secondi”, qualunque risultato ottenuto sarà una sorpresa tanto per che ascoltatori quanto per me che eseguo.

 

Cosa spera che la musica potrà ancora regalarle in futuro?

 

Più che altro, sento più appropriato rispondere alla domanda “cosa spero che io possa regalare alla musica”. La musica so già che parte avrà nel resto della mia vita: è uno di quei matrimoni senza alcuna eventualità di divorzio, non perché sia un vincolo, bensì un legame indissolubile. Al pari dell’aria che si respira, la musica è l’ossigeno per la mia anima.

Quello che spero con tutto me stesso, è di poter dare un contributo emozionando quante più creature soggette alle emozioni; che arrivi un giorno, non meglio definito nel tempo e nello spazio, in cui quante più di queste creature dicano: “ascoltiamo questa aria, come la cantava Ugo Tarquini!”.

Non per vanità, ma perché se avvenisse questo, saprei che avrei minimamente ripagato la Musica (permettimi di definirla come fosse una persona) del dono che mi ha fatto: quello di rendermi ogni giorno inequivocabilmente più ricco di quanto lo fossi il giorno precedente.

ugo tarquini

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