La musica come cura. Intervista a Monica e Marco Morricone.

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di Giulia Vazzoler

Già nell’antica Grecia, il filosofo Platone parlava della musica come della miglior medicina per l’anima. Potenzia le funzioni cerebrali, induce uno stato di benessere e favorisce il dialogo con il proprio Io, incentivando l’ascolto e l’elaborazione delle proprie emozioni. Di questo ruolo terapeutico della musica è fermamente convinto Marco Morricone, il primogenito dei quattro figli del sommo Ennio, che da queste premesse ha forgiato la sua idea di una cultura che non sia solo espressione estetica fine a se stessa, ma anche e soprattutto veicolo di armonia – e di sollievo – per la società tutta. Nel 2017, assieme alla moglie Monica e all’amico fraterno Arnoldo Mosca Mondadori, Marco Morricone ha fondato Armonica ONLUS, un progetto di laboratori musicali dedicati ai pazienti ospedalizzati e ai loro familiari, all’interno dei quali chi soffre può trovare uno spazio di protezione e di cura e un luogo dove affrontare ed elaborare il proprio dolore. Per la prima volta ospite di Cremona Musica International Exhibitions and Festival, Morricone parteciperà alla tavola rotonda “Music: a gift for physical and spiritual health” prevista per venerdì 22 settembre, insieme ad altre cinque istituzioni che realizzano progetti musicali in ambito sociale e sanitario.

 

Armonica ONLUS è un’associazione che lavora a contatto con istituzioni mediche e sanitarie di primo piano. Come nasce questo progetto?

Marco: Dico sempre che è stata un’idea nata di pancia, e che poi si è evoluta di ragione. Da parte mia, sentivo l’esigenza di restituire una parte dei privilegi che la vita mi ha regalato, avendo vissuto fianco a fianco con mio padre e con la sua musica. Il progetto poi ha preso forma soprattutto grazie a mia moglie Monica, che è vice-presidente e motore dell’associazione. È lei che sceglie e coordina il nostro staff.

 

Monica: Abbiamo iniziato nel 2017, con i primi laboratori di ricerca sonoro-musicale dedicati ai pazienti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, e in particolare ai bambini oncologici lungodegenti presso le strutture della Fondazione Ronald McDonald Italia. Nei quattro anni successivi il progetto è cresciuto, anche grazie ai finanziamenti della Fondazione di Comunità Milano e della banca Credem Euromobiliare. Abbiamo rivolto i nostri laboratori principalmente ai malati di distrofia muscolare e dal 2021 lavoriamo stabilmente presso il Centro Clinico NeMo (NeurMuscular Omnicentre) dell’Ospedale Niguarda di Milano, con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità.

 

L’idea della ONLUS era condivisa anche dal Maestro?

Marco: Non se ne occupava. Per lui, la funzione principe della musica era quella di accompagnare le pellicole, anche se le sue composizioni hanno sempre avuto una loro vita propria. Era una persona molto rigorosa, in ogni ambito della sua vita, anche se poi aveva le sue fragilità interiori. Io invece credo che la musica possa avere varie declinazioni, e fra queste possa esservi la “cura”, nel senso dell’attenzione verso le persone più fragili.

 

Chi tiene i vostri laboratori?

Monica: Sono giovani musicisti, studenti e diplomati presso il Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze e docenti delle scuole di musica convenzionate. Il coordinamento è del prof. Giorgio Albiani, docente di Chitarra al Cherubini. Il Conservatorio di Firenze è stato molto ricettivo nei confronti della nostra attività, e oggi assegna anche dei crediti formativi agli studenti che svolgono i laboratori.

 

È un’occasione di crescita molto importante anche per i giovani musicisti…

Monica: Assolutamente. I ragazzi in fase di formazione hanno bisogno di fare delle esperienze intense, di entrare in contatto con la realtà della vita, che purtroppo non è sempre felice, almeno non per tutti. Chiaramente non sono soli in questo percorso: li segue uno staff di 13 persone, fra docenti e tutor, e sono sempre affiancati da una psicologa. Il supporto di uno specialista è fondamentale per evitare il burnout.

 

Cosa intende?

Monica: La musica è uno strumento di comunicazione molto forte, non deve diventare un’arma a doppio taglio. Gli ospiti sono malati di SLA, sono soggetti fragili, quindi l’approccio deve essere rispettoso e non invasivo. Anche per i ragazzi è importante sviluppare una forma sana di distacco, per evitare di essere schiacciati dalla sofferenza e dalla malattia.

 

Qual è il risultato più importante che sentite di aver conseguito?

Marco: Naturalmente non abbiamo la presunzione di pensare che i nostri laboratori possano guarire dalla SLA, ma siamo certi che portino un momento di sollievo a chi è malato. Vede, io non sono un musicista, ma nonostante questo nella mia vita ho respirato tantissima musica. Spero di essere degno di questa eredità, e il mio modo per dimostrarlo è creare benessere attraverso di essa.

 

Quest’anno, per la prima volta, sarete ospiti di Cremona Musica. Cosa vi aspettate di trovare?

Marco: Sicuramente entusiasmo nei confronti del nostro progetto. In Italia, si sa, è difficile portare avanti iniziative, ma a Cremona spero di stringere nuove sinergie e di trovare la carica per ulteriori progetti futuri!

 

[nella foto: Marco Morricone con il padre Ennio]

 

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