Musica libera, onesta e profonda. Intervista a Jacob Ventura

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Jacob Ventura è un giovane violinista italiano, nato in Francia, cresciuto tra la riviera ligure e la Toscana, perfezionatosi a Londra e infine rientrato nel Bel Paese. Ha completato i suoi studi alla Royal Academy of Music, nella classe di Alexander Sitkovetsky, e tra le celebri stanze dell’Accademia di Imola, con Oleksandr Semchuk. La sua storia, colma di viaggi,  incontri, esperienze e successi, ha sicuramente ancora molto da raccontare. Nel frattempo, noi di Tgmusic.it lo abbiamo voluto conoscere più da vicino, per fargli qualche domanda.

 

Partiamo dal principio. Raccontaci un po’ della tua storia e perché hai scelto proprio il violino.

Suono il violino da quando avevo quattro anni e sono l’unico della famiglia a fare musica a livello professionale, ma i miei fratelli più grandi suonavano già e i miei genitori si sono conosciuti con la musica: mia madre cantava sulla spiaggia di Viareggio, accompagnandosi con la chitarra, mio padre era lì e se n’è innamorato a prima vista. Un giorno a settimana mi portavano nella scuola di musica di Sanremo. Mi chiesero se volessi suonare anche io, dissi di sì e scelsi il violino, a pelle. Le prime lezioni me le diede un violinista principiante che in realtà mi faceva disegnare per un’ora, dedicando allo strumento solo gli ultimi minuti della lezione. Poi mi sono appassionato al “suono” negli anni, certamente dopo il trasferimento a Montemurlo, vicino Prato. Lorenzo Borneo è stato il mio primo vero maestro. L’impatto fu terribile (inizialmente impugnavo il violino al contrario). Ho proseguito poi al Conservatorio di Firenze con Miriam Sadun e a quello di Lucca con Alberto Bologni; sono stati anni di duro studio, ma direi che ne è valsa la pena.

 

Com’è lavorare nel Regno Unito? Quali sono le maggiori differenze con l’Italia?

Innanzitutto non c’è sole [ride]. A Londra non è facilissimo vivere di musica, anche se ci sono tantissime opportunità. In parte c’è una certa invidia rispetto alla struttura italiana del “posto fisso”. Lì questo non esiste, bisogna darsi da fare. Il tuo successo, la visibilità dipendono dalla tua dedizione. L’altro aspetto, non necessariamente negativo, è che in questo senso conta molto la preparazione manageriale, oltre a quella musicale. Non ero pronto, all’inizio. A un certo punto ho dovuto contare solo sulle mie forze, ma adesso, rientrato in Italia, sento di avere un bagaglio più completo, sotto molti punti di vista.

 

Hai collaborato con tanti artisti di fama internazionale. Quali sono stati i loro insegnamenti più preziosi?

Innanzitutto Semchuk mi ha insegnato la disciplina. Gitlis, durante una masterclass, oltre a qualche importante spunto sulla sua tecnica, mi ha donato la possibilità di pensare liberamente, senza curarmi del giudizio degli altri. Ed è stata una benedizione: in passato, nel confronto col pubblico, mi preoccupavo troppo di alcuni aspetti tecnici della performance. Poi mi viene in mente la mia esperienza nell’Orchestra Giovanile Italiana, dove ho conosciuto Carmignola, Brunello, Muti e tanti altri, così come Sollima con l’Orchestra Notturna Clandestina: ho imparato il gusto dell’energia del suono, la libertà della creatività, tutto quello che questi grandi interpreti trasmettono semplicemente, suonando.

 

Quanto contano i concorsi oggi? Che consiglio daresti ai giovani come te?

Quando suono per i concorsi mi devo preparare in modo diverso rispetto a un concerto. Spesso sono inevitabili, forse andrebbero ripensati sotto alcuni aspetti, considerando che l’élite degli ascoltatori classici si sta restringendo. Poi ognuno di noi ha un proprio approccio alla musica e allo studio. Ci sono persone che hanno bisogno di uno stimolo continuo e i concorsi sono un ottimo banco di prova. A volte, però, ho avuto difficoltà a essere sereno col mio strumento: quello che è richiesto non coincide sempre col fine per cui faccio musica; il suono aiuta a sognare e l’umanità ne ha bisogno. Per questo, lo sforzo creativo va preservato come un tesoro e, se ha un buon proposito, sarà sempre ricambiato.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri?

In realtà, sto cercando di dedicarmi il più possibile allo studio. Sto pensando di andare a Parigi per un importante corso di perfezionamento in prassi barocca. Vorrei anche ritrovare la mia personale “via” nel repertorio solistico: a tal proposito, ci sono dei progetti in ballo con l’Orchestra Notturna Clandestina, ma non voglio anticipare nulla. La Musica sta andando verso altri orizzonti, lo abbiamo capito durante il lockdown. Si cercano cose nuove, originali, una maggiore attenzione alla trasmissione video e audio. In questa nuova visione, noi musicisti classici dovremmo essere più attenti, aperti, esprimendoci nel modo più onesto e profondo possibile.

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