Il mestiere di raccontare la musica. Intervista a Eleonore Büning.

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di Sebastiana Ierna

La giornalista, critica musicale e scrittrice tedesca Eleonore Büning, 71 anni di Francoforte sul Meno, è un’esponente di spicco del panorama internazionale di settore: nel 1993 è diventata redattore musicale per il Die Zeit ad Amburgo, e dal 1997 fino al 2017 ha lavorato con lo stesso incarico per la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Ha alle spalle numerosi anni di insegnamento e ha lavorato per le radio tedesche WDR3, RBB e SWR. Ha partecipato in qualità di giurata a numerosi concorsi musicali, e dal 2011 è presidente del Premio della critica discografica della sua nazione. Oggi professionista freelance, l’abbiamo incontrata durante la scorsa edizione di Cremona Musica International Exhibitions and Festival, su cui ha scritto due articoli per il giornale svizzero Neue Zürcher Zeitung e per il tedesco Rondo Das Klassik- & Jazz-Magazin.

 

 Dottoressa Büning, lei vanta una ricca esperienza nel suo campo. Com’è nata la passione per la musica classica?

Da quando sono nata, l’arte dei suoni ha fatto parte della mia vita. Nella mia famiglia tutti hanno suonato, da amatori, uno strumento: mio padre la chitarra, mia madre e mia sorella il pianoforte, mio fratello il violino. Io ho iniziato con il flauto dolce, ancor prima di saper leggere e scrivere; ho proseguito poi a 7 anni con il violino, e a 14 con il pianoforte. Sono laureata in Musicologia, Teatro e Letteratura alla Libera Università di Berlino, e continuo a suonare per piacere personale.

 

Qual è il ruolo del critico musicale ai nostri giorni?

Su questo si potrebbe scrivere un libro intero! Originariamente era una professione prettamente maschile, io sono stata una delle prime donne negli anni Settanta a collaborare con varie riviste di settore. In cosa consiste il mio lavoro? Molto semplice: andare a concerti ed eventi musicali per ascoltare personalmente gli artisti sul palco, e raccontare la qualità e le performance vissute, giustificando la mia opinione. Scrivo soprattutto per il pubblico non presente in sala: il mio linguaggio dev’essere così stimolante da indurre il lettore (qualunque sia il suo profilo culturale) a interessarsi all’argomento che propongo e a frequentare il mondo della “classica”.

 

Quanto è importante la musica per una società sempre più tecnologica?  

È fondamentale per una maggiore consapevolezza di se stessi. La base dell’umanità e della civilizzazione è la democrazia, in cui il saper ascoltare permette una migliore accettazione degli altri e di opinioni differenti: credo quindi che la musica, come arte per la collettività, sia molto più importante di quanto si pensi. L’ascolto reciproco coinvolge alcune sinapsi del cervello, responsabili delle capacità di apprendimento e di discussione, e iniziare a suonare uno strumento da bambini rappresenta sicuramente un vantaggio da questo punto di vista.

 

Al di là dell’aspetto tecnico, un’istruzione musicale si riflette dunque nella vita quotidiana.

E non solo! Si acquistano delle capacità per affrontare e superare meglio gli ostacoli che troviamo lungo il nostro cammino. La pittura o la scrittura sono arti da poter svolgere anche da soli; nella musica si è portati a cooperare. Pensi a un compositore che scrive una sua opera, mettendo punti neri su un foglio bianco: ha bisogno almeno di un musicista che suoni il suo pezzo, per avere la realizzazione di ciò che ha creato. Ecco la collaborazione tra esseri umani.

 

Ci si chiede spesso quali siano le giuste strategie per invogliare una maggior partecipazione agli eventi musicali. Lei cosa suggerirebbe?

Da molto tempo si pone il problema del rinnovamento del pubblico, che nella maggior parte dei casi è oggi costituito da pochi giovani e da molte persone di una certa età. Da quasi 20 anni si offrono progetti educativi, su cui io stessa ho scritto e fatto ricerche. Non dimentichiamoci che il pubblico interessato alla musica classica costituisce una piccola parte del nostro sistema sociale, ed era così anche 40 anni fa. Cosa posso consigliare? Ciascuno di noi può e deve impegnarsi a portare nuovo pubblico a concerti, catturando l’attenzione con eventi di alto valore artistico.

 

Crede che questa soluzione potrebbe essere d’aiuto?

Penso di sì. Ho portato molti amici a teatro, dando loro l’opportunità di vivere un’esperienza nuova; ma ho anche organizzato piccoli concerti a casa mia con giovani musicisti, conosciuti nei concorsi in cui ero in giuria, invitando critici e direttori musicali, agenti. Ognuno di noi può incentivare l’interesse verso un mondo che si considera ancora, erroneamente, appannaggio di pochi.

 

Può darci una sua impressione sull’esperienza di Cremona Musica? 

Non ero mai stata a una manifestazione di questo tipo, e ho imparato molto. Sono venuta per capire e raccontare come mai uno Stradivari sia superiore ad altri strumenti ad arco, la particolarità dei tipi di legno e le varie caratteristiche che li contraddistinguono. Ho incontrato e intervistato alcuni liutai, e raccolto materiale per i miei articoli. Ricordo con immenso piacere ciò che mi ha detto il compositore, violoncellista e liutaio trentino Nicola Segatta, con la passione per i fumetti di Asterix: «Pensate a questa kermesse come alla riunione dei druidi di Getafix: ognuno di noi ha portato la propria pozione magica, con nuovi ingredienti personali» [ride].

 

Una simpatica analogia che rende l’idea di ciò che si offre ai visitatori…

Esatto! Ho trovato molto utile la possibilità di ascoltare altri strumenti musicali come pianoforti, chitarre, mandolini, sassofoni, presentati dai loro costruttori; assistere a  concerti di artisti internazionali in sale allestite per l’occasione; partecipare a tavole rotonde con tematiche di grande interesse. Per tre giorni sono stata immersa in una moltitudine di suoni, che talvolta mi ha disorientata. Nonostante ciò, posso complimentarmi con gli organizzatori e in particolare con il coordinatore artistico Roberto Prosseda, la cui esperienza di artista e divulgatore ha reso possibile il successo di questa manifestazione.

 

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