Il Quarto Enigma di Turandot.

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di Stefano Teani

Serata destinata a lasciare il segno, quella di sabato 24 luglio, per la prima di Turandot. Grande l’attesa per il finale di Luciano Berio, mai eseguito a Torre del Lago e affidato alle sapienti mani del direttore John Axelrod. Ma procediamo con ordine, le sorprese non mancano fin dal primo minuto.

Dopo la consueta introduzione di Valentina Lo Surdo, salgono sul palcoscenico la Presidente della Fondazione Maria Laura Simonetti e l’Assessore alla Cultura di Viareggio Sandra Mei che consegnano il 50º Premio Puccini a Michele dall’Ongaro, per aver riportato a Torre del Lago l’Orchestra di Santa Cecilia e per i suoi studi su Puccini. Questi prende la parola per affascinare il pubblico – come solo lui sa fare – con dei ringraziamenti garbati e sagaci («quando si riceve un premio non bisogna credere di meritarlo», ironizza) e con un brevissimo excursus sulle opere pucciniane tanto semplice quanto suggestivo e illuminante.

Ecco che, durante questo breve discorso, già qualche piccola goccia di pioggia comincia timidamente a farsi strada, insinuando nei presenti il dubbio sull’esito della serata. Entra il Maestro Axelrod, l’opera ha inizio. Un’imponente scenografia basata su grandi pannelli girevoli fa presagire un’ambientazione suggestiva e ambiziosa, entra poi il coro e Francesco Facini, nei passi del Mandarino, che con austera sicurezza e precisione porta a compimento in maniera impeccabile la propria parte. È proprio qui che la pioggia comincia a farsi più di un presagio, più di una vaga minaccia, diventa un reale problema che porta molte persone a guardarsi intorno incerte. Passano ancora pochi secondi prima che il Maestro fermi tutto, dichiarando di dover interrompere perché «la pioggia non fa bene agli strumenti». I minuti scorrono rapidamente nell’incertezza, finché le gocce calano gradualmente per poi smettere completamente di cadere. Axelrod ritorna, con decisione e rapidità decide di ricominciare da capo, senza rimettere la scenografia in posizione iniziale, obbligando il coro a compiere una bella prova di improvvisazione scenica che, tuttavia, riesce a gestire perfettamente. Unica pecca, Facini non rientra al momento della sua parte, probabilmente non avvisato in tempo dal maestro di palcoscenico. 

Poco male, il direttore americano, con grande spirito istrionico e senso del teatro, inizia a cantare la parte mancante con voce sicura, ben proiettata e perfettamente intonata. Proprio sulle ultime note rientra Facini, che conclude per la seconda volta la propria parte senza alcuna esitazione.

Ecco che, da questo momento in poi, l’intera serata scorrerà sotto il segno del quarto, terribile enigma della regina Turandot: pioverà o non pioverà? Riusciremo ad arrivare alla fine dell’atto, addirittura dell’opera?

Fortunatamente la risposta è affermativa, da questo momento tutto scorrerà liscio senza alcun intoppo, regalando al pubblico una serata memorabile. A partire dall’Orchestra, completamente trasfigurata dalla recita del giorno precedente, che ha suonato con un entusiasmo, una cura del suono e un’attenzione al gesto del direttore davvero encomiabili. Anche nella densa scrittura di Berio è riuscita a dar prova delle proprie qualità. Oltre alle qualità dei singoli Professori d’orchestra, sicuramente un ruolo determinante è da attribuire alla bacchetta di Axelrod, direttore carismatico, dotato di una profonda conoscenza della partitura e dell’organismo orchestrale e di un gesto forte e vellutato insieme.

La regia, affidata a Daniele Abbado, con le scene di Angelo Linzalata e i costumi di Giovanna Buzzi, è riuscita a stupire senza eccedere, usando elementi grandiosi come i pannelli già citati – sulla cui sommità si sono avvicendati l’Imperatore, Turandot e il Mandarino – che hanno assolto a  molte funzioni diverse, basti pensare al grande oblò posto in alto, capace talvolta di aprirsi per annunciare l’entrata della principessa oppure di rappresentare una magnifica luna. Sapiente l’uso delle luci e dei costumi, che enfatizzato alla perfezione l’operato di un coro di rara qualità vocale e scenica. Preparato con grande cura dal Maestro Roberto Ardigò, questa sera anche il coro ha superato se stesso, vincendo le insidie di questa partitura con passione e talento. Idem si dica per il coro delle Voci Bianche diretto da Viviana Apicella, con bambini tanto spontanei nel gestire i movimenti scenici quanto puntuali musicalmente.

Ben poco si può dire sul cast. Si tratta senza dubbio di una rara combinazione di professionisti di altissimo profilo. A partire da Turandot, Emily Magee, dotata di una voce potente e penetrante ma mai spinta o sgraziata. Insieme al tenore Ivan Magrì (Calaf) ci ha regalato dei momenti di pura emozione; anch’egli perfetto per il proprio personaggio, con molta potenza sonora ma anche altrettanto gusto nel dosarla per conferirle i giusti colori. Impressionante la qualità della giovanissima Emanuela Sgarlata, tanto a proprio agio sulla scena quando perfetta vocalmente.  Curata nei minimi dettagli, ci ha regalato una Liù sobria, scevra di tanti portamenti e ridondanze della peggior tradizione, rendendola tanto più efficace. Veniamo poi a Nicola Ulivieri, un Timur dalla voce brunita ma non scura, timbro interessante che, insieme a una perfetta proiezione del suono, gli ha permesso di essere sempre perfettamente udibile, anche nei registri più gravi. Eccezionale la prestazione di Giulio Mastrototaro, Marco Miglietta e Andrea Giovannini, nei panni di Ping, Pong e Pang. Genuinamente simpatici, hanno divertito per la spontaneità con cui hanno saputo impiegare le loro molteplici qualità. Se da una parte le voci erano sempre a fuoco, pulite e ben proiettate, dall’altra hanno dimostrato una padronanza scenica totale, cimentandosi anche in capriole e piccoli numeri di agilità.

Questa sera anche all’Imperatore Altoum è stata data una voce di tutto rispetto. Ruolo spesso bistrattato quello del “figlio del cielo”, in questa produzione è passato per la competenza di Kazuki Yoshida, dalla voce calda e rassicurante. Ottima prova anche per Giovanni Cervelli (il principe di Persia), voce indubbiamente affascinante e ricca, e per le due ancelle Fleur Strijbos e Luisa Berterame.     

Infine una menzione speciale per il sound designer Luca Bimbi. Se c’è una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato nel teatro di Torre del Lago era la possibilità di riuscire ad ascoltare un interprete che canta dando le spalle alla platea. Invece questa sera anche questo miracolo è accaduto, la protagonista ha infatti intonato “In questa reggia” rivolgendosi verso il lago, voltandosi solo in un secondo momento. 

Si conclude col celebre finale di Luciano Berio questa serata indimenticabile. I protagonisti s’incamminano lentamente verso il lago, in un diminuendo orchestrale tanto suggestivo da lasciare che sia il pubblico a pensare, fra sé e sé, “e vissero felici e contenti”… 

La recensione si riferisce alla serata del 24 luglio 2021.

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