Il Quatuor pour la fin du Temps di Olivier Messiaen: sintesi di una visione mistica, filosofica e tecnica, tra le alte vette della musica.

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di Smeralda Nunnari

«E vidi un angelo, forte, scendere dal cielo, avvolto in una nube; l’arcobaleno era sul suo capo, la sua faccia era come il sole, le sue gambe come colonne di fuoco, […]. Pose il piede destro sul mare, e il sinistro sulla terra, e […] tenendosi ritto sul mare e sulla terra, alzò la mano […] al cielo, e giurò nel nome del vivente per i secoli dei secoli […] dicendo: “Non vi sarà più altro tempo! Nei giorni del suono del settimo angelo si compirà il mistero di Dio, […]”».

(Apocalisse, X, 1-7, citata da Oliver Messiaen a giustificazione del proprio desiderio di cessazione del tempo)

Il Quatuor, una musica che evoca e annuncia la fine del tempo ha una genesi quasi leggendaria, viene creato a Stalag di Görlitz, in Slesia, la sera di mercoledì 15 del 1941, nella baracca 27 B, con una temperatura esterna vicino ai 15 gradi sotto zero e per un pubblico composto da cinquemila compagni di prigionia. Messiaen descrive così il suo arrivo in questo campo di concentramento: «Come tutti gli altri prigionieri, dovetti spogliarmi. Nudo com’ero, continuavo a stringere, con uno sguardo spaventato, un sacchetto che conteneva tutti i miei tesori. E cioè una piccola libreria di partiture d’orchestra in formato tascabile che sarebbero state la mia consolazione quando, come gli stessi tedeschi, avrei sofferto la fame e il freddo. Questa eclettica, piccola libreria, andava dai Concerti Brandeburghesi di Bach alla Suite lirica di Alban Berg».

Nel campo di prigionia, il compositore incontra altri tre musicisti: il violinista Jean Le Boulaire, il violoncellista Etienne Pasquier, e il clarinettista Henry Akoka, anche loro prigionieri. Per questo organico, a cui egli stesso si aggiunge come pianista, l’artista francese struttura il suo quartetto. Tutto ciò è stato reso possibile per l’ausilio di Karl-Albert Brüll, ufficiale nazista illuminato e colto che comprende le doti del compositore e gli fornisce il materiale per scrivere.

Il Quatuor si fonda su un tema teologico. Nello sconforto totale, Messiaen riflette sul Giudizio Universale e ripensando all’Apocalisse, nelle parole di San Giovanni, trova il punto chiave per il brano. Nell’intento di trasporre il significato del testo, rende in musica la sensazione della fine dei tempi, attraverso un materiale sonoro modellato per esprimere sensazioni di sospensione e smarrimento.

L’artista partendo dalla distinzione tra eternità e tempo: la prima è sincronica, simultanea e immobile, non necessita di un inizio né di una fine; il secondo, invece, in momenti diacronici, distingue un prima e un dopo. Egli ricerca una musica, come espressione delle vette del sentimento umano e religioso. Ritiene che la tradizionale struttura ingabbiata in battute e organizzata per accenti fissi a seconda del metro notato fosse insufficiente e giunge all’utilizzo di ritmi non retrogradabili, moduli ritmici non tradizionali, modi a trasposizione limitata, armonie non tonali, precisando: «La mia prima preoccupazione consisteva nell’abolizione del tempo stesso, qualcosa di infinitamente misterioso ed incomprensibile alla maggior parte dei filosofi, da Platone a Bergson.»

La composizione viene articolata in otto movimenti, per simboleggiare una circolarità senza inizio e senza fine del tempo, oltre il tempo. È l’immagine che raffigura l’orizzonte inseguito e sfuggente dell’eternità. Scelta che lo stesso artista spiega così: «Sette è il numero perfetto, la creazione dei sei giorni santificata dal sabbat divino; il sette di questo riposo si prolunga nell’eternità e diviene l’otto della luce indefettibile, della pace inalterabile.»

I vari titoli riescono a costituire una linea di discorso unitaria tra gli otto movimenti e forniscono uno specifico contesto narrativo o descrittivo, inquadrando la musica di ogni movimento: Liturgie de cristal (Liturgia di cristallo); Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps (Vocalizzo per l’Angelo che annuncia la fine del Tempo); Abîme des Oiseaux (Abisso degli uccelli); Intermède (Intermezzo); Louange à l’Éternité de Jésus (Lode all’Eternità di Gesù); Danse de la fureur, pour les sept trompettes (Danza furiosa per le sette trombe); Fouillis d’arcs-en-ciel, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps (Vortice d’arcobaleni per l’Angelo che annuncia la fine del Tempo); Louange à l’Immortalité de Jésus (Lode all’Immortalità di Gesù).

Ogni movimento è caratterizzato da un preciso organico, dove all’intero quartetto si alterna un trio, un duo, o il semplice strumento solista: Nel primo movimento, l’intero organico descrive il risveglio degli uccelli. La musica si trasforma in un canto che non ha né inizio né fine, tra uno scintillio di suoni e aloni di trilli, che si disperdono in mezzo agli alberi e la natura con armonioso silenzio paradisiaco. Il brano successivo, utilizza nuovamente l’intero quartetto. La prima e la terza sezione evocano entrambe la forza del possente angelo, vestito di nubi e incoronato da un arcobaleno, con un piede sul mare e l’altro sulla terra. Nella parte centrale cascate di accordi dolci e colorati, densi di note, creano impalpabili armonie celesti. Nel terzo pezzo, per clarinetto solo, l’abisso rappresenta il tempo nemico dell’anima con le sue tristezze e sconforti. L’uccello diventa l’antitesi del tempo, con i suoi vocalizzi immutabili e gioiosi è il nostro desiderio di libertà, di luce, di altezze, di arcobaleni. Segue, come quarto brano, l’intermezzo, uno scherzo per clarinetto, violino e violoncello, con la funzione di ponte di collegamento tra le due macro-parti del quartetto. Attraverso un intenso gioco tra violoncello e pianoforte, il quinto brano descrive la potenza maestosa di Gesù: «in principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio.» Si passa al sesto brano, con i quattro strumenti che rievocano ad unisono le terribili sonorità delle sette trombe dell’Apocalisse, con l’impiego del valore aggiunto di ritmi aumentati o diminuiti, non retrogradabili. Tra il suono del violoncello e del pianoforte, nel settimo movimento, riappare l’Angelo, pieno di forza, che annuncia la fine dei tempi. Successivamente fanno la loro comparsa gli altri due strumenti, in una compenetrazione circolare di suoni e colori. Tra lame di fuoco, colate di magma, stelle improvvise, tra confusione e scompiglio, ecco i colori dell’arcobaleno, simbolo di pace, di saggezza e di ogni vibrazione luminosa e sonora. Il movimento finale, con un tempo estremamente lento, tenero ed estatico, tra il suono del pianoforte e del violino loda l’immortalità di Gesù, il Verbo fatto carne, che risuscita immortale per donarci la sua vita, il suo amore, simbolo dell’ascesa dell’uomo verso Dio, verso il Paradiso. Un musicale silenzio narra l’abbandono della terra e l’abbraccio infinito con l’eterno.

I quattro esecutori pur usciti indenni dalla guerra e dal campo di prigionia, mai più si ritrovano insieme, né il quartetto viene più suonato dagli stessi interpreti del lager, capaci di eseguire un pezzo di tale difficoltà con strumenti di fortuna, procurati dai gerarchi nazisti. Sembra che i tasti del pianoforte a disposizione di Messiaen restassero premuti e che il violoncello suonato da Pasquier avesse solamente tre corde.

Da allora questo geniale capolavoro nato in situazioni drammaticamente avverse, come la reclusione, la privazione, la mancanza di libertà, si è imposto come un modello di forma d’arte assoluta che fino ai nostri giorni mantiene vivo il suo messaggio di perenne attualità.

Le otto “preghiere” che compongono il Quartetto non costituiscono un lamento, un grido di dolore, una protesta. Al contrario, sono una riflessione profonda sul valore del tempo nella prospettiva religiosa, filosofica e musicale. È alla religione, al pensiero critico e al suono che Messiaen domanda le ragioni del dolore e in esse ripone le speranze di una possibile liberazione.

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