Il “Revolutionary Étude” di Frédéric Chopin tra i colori della storia

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di Smeralda Nunnari

<<Tutto questo mi ha causato molto dolore. Chi avrebbe potuto prevederlo?>> (Frédéric Chopin)

Lo Studio n. 12 di Frédéric Chopin è, indubbiamente, il più significativo tra i ventiquattro Études per pianoforte, suddivisi in due raccolte di dodici studi, l’op. 10 e l’op. 25, pubblicate, rispettivamente, nel 1833 e nel 1837. Un documento sonoro storico della caduta di Varsavia, espressione del tormento, dell’avvilimento e dello sconforto di uno Chopin piegato sul suo pianoforte.

Il biografo Karasowski narra che lo Studio nasce di getto, nel 1831, come segno di drammatica ribellione, mentre Chopin si trova in Germania, a Stoccarda, dove riceve la notizia della violenta presa della capitale polacca da parte delle truppe zariste e del conseguente fallimento dei moti nazionalistici, in cui aveva riposto ogni sua speranza, pur senza partecipare attivamente alla sommossa a causa delle instabili condizioni di salute.

Il compositore e pianista polacco, travolto dalle drammatiche vicende della rivoluzione polacca, contro l’impero russo, passata alla storia come la Rivolta di novembre, conclusasi con la caduta della capitale, trasforma le proprie emozioni storiche in un capolavoro, dedicato <<à son ami Franz Liszt>> (<<all’amico Franz Liszt>>).

Questo ètude noto come: “La caduta di Varsavia” o secondo gli appellativi di Franz Liszt, “Studio della Rivoluzione” o “Il Rivoluzionario” è un brano di eccezionale potenza drammatica, ricco di pàthos, doloroso e triste, nel suo quasi programmatico racconto della sconfitta militare della Polonia.

Le pagine del pezzo pianistico, nella tonalità del do minore, della durata di circa tre minuti sono caratterizzate da una scrittura tecnicamente, dinamicamente e agogicamente complessa, in grado di far tremare i polsi anche ai migliori pianisti.

Lo studio si apre con un impetuoso scorrere della mano sinistra, dove si inseriscono icastici e incisivi motti melodici della mano destra. L’accompagnamento della mano sinistra, nel suo moto ascendente e discendente risulta omogeneo e unitario ed è il risultato dell’unione di una serie di figurazioni diverse.

Il musicista polacco, abbandona nel finale la tradizionale coda trionfalistica, sostituendola con una verticale caduta verso il basso, che funge da filo di terra, per scaricare tutta l’energia accumulata fino a quel momento, cui segue, improvvisamente, la frantumazione del discorso melodico, un crollo distruttivo con un lacerante unisono a due mani. E, infine, la risoluzione su quattro possenti accordi nel registro più grave.

Karasowsky, a tal proposito, si esprime, così: <<Sopra l’uragano di tempestosi ed infuriati tratti della mano sinistra si eleva la melodia, ma così violenta, piena d’orgoglio e di grandioso terrore, che pare di vedere Giove Olimpico Onnipotente nell’atto di scagliare i suoi fulmini sul mondo intero>>.

È evidente, nell’epilogo di queste pagine chopiniane, l’allusione alle battute conclusive del primo movimento della Sonata per pianoforte n. 32 Op. 111, ultima sonata di Beethoven, composta nella medesima tonalità.

In quest’ultimo studio dell’Op. 10, il Romanticismo di Chopin si trasforma, diventando ancora più autentico: il compositore lascia correre la sua ispirazione incontro alla sofferenza provocata dal suo patriottismo, una musica che nasce spontanea dal cuore del pianista, un grido di dolore, in cui a soffrire non è l’artista come persona, ma l’intero popolo della Polonia. Un sentimento patriottico profondo che porta l’autore, stabilitosi definitivamente a Parigi, a chiedere, poco prima della sua morte, nel 1849, che il proprio corpo fosse sepolto nella capitale francese, ma il suo cuore trasportato, fisicamente, a Varsavia.

Infatti, il cuore di Chopin è custodito in Polonia, come la reliquia di un santo, nella chiesa barocca di Santa Croce, nel centro di Varsavia, perché per i polacchi le opere del compositore rappresentano il simbolo dello spirito nazionalista. Un sentimento intimo e intenso mai venuto meno al nostro <<poeta del pianoforte>>, come testimoniano le sue stesse parole, scritte, nel 1848 a Julian Fontana a New York: «Il moscovita avrà del buon filo da torcere quando dovrà marciare contro il prussiano… Dovranno necessariamente verificarsi cose terribili, ma alla fine ci sarà una Polonia grande e gloriosa, in una parola “La Polonia”».

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