La creatività artistica tra innumerevoli colonne sonore che catturano parole, sensazioni, immagini, sentimenti. Intervista a Paolo Vivaldi.

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di Smeralda Nunnari

Una musica che scava, che innalza oltre la poesia, al di là di ogni forma d’arte e riesce a raccontare l’inenarrabile.

Paolo Vivaldi, nato a Roma il 20 gennaio 1964, si diploma in Composizione, presso il conservatorio “Santa Cecilia” della sua città, nel 1985, sotto la guida della docente pugliese Teresa Procaccini. Successivamente, si dedica completamente al pianoforte e alla composizione di colonne sonore per il cinema e la televisione ed, insieme, all’orchestrazione delle proprie composizioni, curandone la direzione orchestrale nella fase di registrazione.

Ha composto più di quaranta colonne sonore per il cinema e circa una cinquantina per la televisione. Tra le prime spiccano: La classe non è acqua (1997); Facciamo fiesta (1997); The Torturer (2005); Non aver paura (2005); Salvatore – Questa è la vita (2006); La bella società (2010); Un giorno della vita (2011); Non escludo il ritorno (2014); Così parlò De Crescenzo (2015); Non essere cattivo (2015); Un nuovo giorno (2016). A splendere, invece, tra le seconde: De Gasperi, l’uomo della speranza (2005); La baronessa di Carini (2007); Rino Gaetano – Ma il cielo è sempre più blu (2007); Einstein 2008; K2 – La montagna degli italiani (2013); Adriano Olivetti – La forza di un sogno (2013); Pietro Mennea – La freccia del Sud, (2015); Luisa Spagnoli (2016); La vita promessa (2018); Enrico Piaggio – Un sogno italiano (2019); Permette? Alberto Sordi (2020); Rita Levi Montalcini (2020); Giustizia per tutti (2022); Filumena Marturano (2022).

Un luminosissimo firmamento compositivo, accompagnato da prestigiosi riconoscimenti e premi.

Attualmente insegna Composizione per la musica applicata alle immagini al Conservatorio di Musica “Nino Rota” di Monopoli ed ha portato a termine un’altra meravigliosa colonna sonora, dal potere intenso ed emozionante per il film TV “Fernanda”, diretto da Maurizio Zaccaro e interpretato da Matilde Gioli, nel ruolo della Wittgens, prima donna direttrice della Pinacoteca di Brera e artefice, durante la seconda guerra mondiale, del salvataggio di notevoli opere d’arte e di numerosi ebrei dalla deportazione.

 

Maestro, la musica e, in modo particolare la sua, parla più delle parole… Potrebbe parlarci del potere sinestesicamente coinvolgente della musica, rispetto alla sceneggiatura, alle immagini?

Dunque, la musica da film è sicuramente qualcosa di molto particolare, perché è una musica applicata, cioè applicata alle immagini e, quindi, richiede una cura e un lavoro molto particolare, perché praticamente non è libera dagli schemi, cioè è una musica che ha bisogno di incanalarci dentro le arti visive e se vogliamo anche arti che riguardano la scrittura, perché c’è una sceneggiatura, ci sono degli attori, c’è una storia, quindi, è una musica a programma, cioè che sta dentro, insieme, ad altre arti e non è mai libera.

 

Il più bel ricordo legato agli inizi della sua attività artistica…

Sicuramente, tra i più bei ricordi c’è la fiction con Claudio Santamaria su Rino Gaetano, due puntate per Rai uno. Bellissimo lavoro, perché, insomma, non era facile raccontare la storia di un cantautore facendo musica originale. Ma, sono riuscito a entrare nel cuore di Rino uomo, non cantautore, scrivendo questi temi, di cui uno, in particolare, il tema del padre, che io ho elaborato da un’audiocassetta che mi portò la sorella di Rino Gaetano: un brano al pianoforte che Rino non aveva mai fatto per canzone. Era un semplice appunto… E io, dalle prime quattro note, ho scritto il tema principale della colonna sonora, in riferimento al dolore di Rino, al rapporto con il padre, un rapporto molto difficile.

 

I suoi modelli li ha trovati vicino a lei, o li ha cercati lontano?

Io, sicuramente, sono cresciuto proprio a livello emotivo e anche fisico, frequentando lo studio di registrazione Forum, dove il Maestro Morricone incideva continuamente. Mi sono formato, in quel senso etico della musica di Ennio, al quale sono veramente molto legato anche a livello affettivo, perché ho avuto modo di conoscerlo personalmente, di avere la sua stima. Sicuramente, Morricone per me è stato un modello unico. Poi, mi sono avvicinato a Sakamoto, che è uno degli autori più belli che sia mai esistito. Infatti, ho anche inciso un concerto che s’intitola: “Morricone e Sakamoto”, dove metto a confronto questi due grandi colossi che hanno scritto delle musiche indimenticabili.

 

Lei ha composto numerosissime colonne sonore. Qualcuna o più di una, in particolare, occupa il primo posto nel suo cuore o da buon pater familias ama tutte le sue creature?

Beh… no! Sicuramente, la colonna sonora del film di Claudio Caligari “Non essere cattivo” occupa il mio cuore, perché è stata scritta in un momento particolare, il Maestro Caligari ci ha lasciato mentre facevamo il montaggio e ho scritto un tema con grande passione, con grande amore. Ogni volta che vado in concerto glielo dedico, perché era un grandissimo regista, una grandissima persona e quel tema è pieno di emozione.

 

Potrebbe parlarci della genesi della colonna sonora di “Filumena Marturano”?

“Filumena Marturano” è stata una cosa un po’ particolare. In realtà, non la dovevo fare io, perché Francesco Amato, il regista, ha sempre lavorato con Andrea Farri, un mio collega. Ma, in quel caso, Andrea non si è accordato con la produzione e, a quel punto, sono subentrato io, nella diffidenza iniziale del regista che, giustamente, avendo lavorato per sedici anni con Andrea Farri, si è trovato di fronte a un compositore che non conosceva. Sono andato a Napoli a incontrarlo sul set e lui mi ha dato qualche indicazione molto fugace. Nonostante queste indicazioni fugaci, poi, sono partito per Latina, dove vado tutte le estati. Qui, ho un pianoforte a coda, in un palazzo molto bello, del quale posso usufruire. Sono andato lì e, in una settima, ho scritto tutto. Anche meno…, in quattro giorni, avevo già scritto tutti i temi del film. Poi glieli ho mandati, e lui è rimasto molto sorpreso della velocità, di tutto… Ma, d’altra parte, “Filumena Marturano”, Edoardo De Filippo, fanno parte della mia storia, della mia vita: mio padre faceva l’attore e, quindi, quando a casa mia c’era Edoardo De Filippo, era il coprifuoco, cioè si guardavano le commedie! Sono cresciuto nella cultura napoletana, ho lavorato tanto con Lello Arena, Mariano Rigillo, tutto il teatro di Ruggero Cappuccio. Quindi, è un mondo che mi appartiene! Poi, insomma, è un tema talmente forte ma, penso, assolutamente, nelle mie possibilità. Perché, io sono uno che ancora scrive dei temi, un povero, come dire… illuso, in un momento in cui le colonne sonore sono, sempre, più neutre, scrivere un tema diventa, insomma, una cosa, boh…, quasi, inutile e impegnativa… È questo è!

 

Vuole accennare qualcosa in riferimento alla sua recentissima colonna sonora del film tv “Fernanda”, che presto vedremo su Rai uno, dove la musica sublima la vita e ogni forma d’arte, nella singolare ed eroica personalità della Wittgens?

Questa è un’altra storia molto bella, perché con Maurizio Zaccaro, il regista, c’è un bellissimo sodalizio. Lui è un uomo molto colto, che mi dà dei riferimenti eccezionali, tra cui Elgar, l’Adagio di Barber… Abbiamo cercato un tipo di musica che raccontasse il percorso di questa donna, che dà tutta la sua vita per l’arte e aiuta gli ebrei, salvando le loro vite. Infatti, in una sua lettera, scrive: «Chiunque salvi un solo essere umano, rende la propria esistenza un capolavoro.» Quindi, è una musica fortemente emotiva, piena di intensità, perché la storia è veramente molto, molto, molto bella!

 

Le soddisfazioni maggiori le ottiene nel comporre, nel dirigere o nell’insegnare?

Mah, boh…! Insomma, comporre è il mio modus, il mio modo di esprimermi. Per me è una forma di comunicazione. Dirigere, specialmente, la mia musica, diventa, ancora più particolare, perché ti rendi conto che mentre dirigi la tua musica, quella musica non è più tua, ma di tutte le persone che la stanno suonando insieme a te e di chi la sta ascoltando. Quindi, è una condivisione, ancora più profonda, più bella, perché quando scrivi una colonna sonora, finisci in un film e sei al servizio delle altre arti. E, spesso, la musica viene sacrificata dai volumi, dai rumori, dal dialogo… Mentre quando sei in concerto, la tua musica fa rivivere le emozioni visive attraverso, solo, l’ascolto della musica, soprattutto, la condividi con l’orchestra. Adesso, ho fatto due concerti a Taranto, con l’orchestra della Magna Grecia, bellissimi! E ho provato, sempre, questa sensazione meravigliosa, in cui mi sento facente parte di una comunità e non è più la mia musica, ma diventa la nostra musica! Ed è una cosa molto bella! (commosso sorride, ndr.)

 

Tra la laboriosità del comporre e la risoluzione dell’esecuzione, qual è il momento più entusiasmante per Paolo Vivaldi?

Sicuramente, la realizzazione di quello che hai composto è un momento particolare. Mi ricordo la prima volta che ciò accadde con l’orchestra: ero sul podio e sentivo tutte le parti incastrarsi l’una dentro l’altra, in quello che avevo scritto. Ed è stata una bella emozione! Perché lì è la fase conclusiva, ripeto, e quindi…! Dove molte persone partecipano una nuova emozione a quello che tu hai voluto scrivere. L’incisione della colonna sonora è uno dei momenti più belli in assoluto, anche se, poi, non riesci mai a gustartelo in pieno, perché sei sempre oberato da responsabilità, dal budget che deve essere quello, dai tempi di registrazione che devono essere quelli… Diciamo che, forse, il concerto mi fa stare molto più tranquillo. In concerto, sono assolutamente tranquillo, mentre nelle registrazioni, sono sempre un po’ preoccupato di portare a termine il lavoro, in quel determinato lasso di tempo senza sforare nulla.

 

Il suo cognome ci riporta ed evoca, anche, la musica del Barocco. Qual è il suo rapporto con questa musica? C’è un filo conduttore, prettamente, musicale o di parentela, che lo lega al grande compositore veneto suo omonimo, di cui lei ne rispecchia e amplifica le sue, già, eccezionali qualità?

Beh…, va bene! Certo, io, Antonio Vivaldi lo sento molto. Percepisco, in lui, quella forza, proprio, narrativa: quando si ascolta la musica di Vivaldi si vedono veramente delle immagini, date da quell’incredibile senso dinamico ed espressivo. La musica di Vivaldi è al tempo stesso potente e malinconica. Quest’ambivalenza, che trovo fortissima e sento moltissimo è, anche, nel mio modo di comporre! Penso che la musica debba avere uno spessore emotivo, a tutti i livelli. Anche se, allegra o serena, deve esserci, sempre, una profondità interna, affinché riesca a toccare le emozioni più profonde. È un’arte molto particolare. E, Vivaldi, io lo dirigo. Adesso, l’ho diretto a Taranto, con il maestro Carlini al fagotto, il “Concerto in Mi minore per fagotto e orchestra”, l’ho diretto a Roma, con gli archi dell’Accademia di Santa Cecilia, abbiamo fatto un concerto di Vivaldi per violino, “Le quattro stagioni”. Quindi, sento una grande affinità con la musica di Antonio Vivaldi. Poi, forse, pare che ci sia, anche, una discendenza… È un autore che amo moltissimo, indipendentemente dall’omonimia e dalla discendenza. Ritengo che Vivaldi sia uno degli autori più moderni del mondo, molto moderno.

 

Se dovesse dare un colore o una forma, anche, geometrica alla sua attività artistica, che colore e forma utilizzerebbe?

Il colore viola: è il mio colore preferito. La forma geometrica… non saprei… (tentennando sorride, ndr.) forse… un cerchio, non perfetto…

 

Sicuramente c’è qualcosa che le sta particolarmente a cuore e che vorrebbe dirci, in quest’intervista. Faccia conto che io le abbia posto la giusta domanda.

Che cosa dire? Dire ai giovani che vogliono fare questo lavoro che ci vuole tanta passione, tanta perseveranza, tanta resilienza, tanta forza mentale, tanta determinazione e, soprattutto, amare profondamente quello che si fa, fino in fondo, dalle cose più piccole, anche dai piccoli lavori, che possono essere dei lavori per piccole commedie teatrali, per dei cortometraggi. Bisogna metterci sempre il cuore, il cuore, il cuore! Perché è una cosa che farà, sempre, la differenza. Soprattutto, ci vuole tanta pazienza, tanta resilienza. Perché, purtroppo, questa non è una società meritocratica, dove non è detto che, se scrivi molto bene e sei un compositore molto bravo, possa trovare il tuo spazio. Purtroppo, l’Italia è un paese fondato sulle relazioni, sulle raccomandazioni, su qualcosa che non ha niente a che fare con le capacità. Non è un paese meritocratico, non lo sarà mai! Perché è nella nostra indole latina, quella di chiedere favori, di avere favori di scambio. Purtroppo, nel nostro settore, proprio in questo momento storico, sempre di più, molti compositori, diciamo, hanno dei cross driver che lavorano per loro, quanto meno amplificano, per loro, le loro idee, che possono essere anche buone e positive. Ma non hanno modo di poterlo fare, perché non c’è una preparazione. Ecco, non c’è più una preparazione. Trovare compositori che fanno colonne sonore, diplomati in composizione, è un caso rarissimo. Forse, saremo dieci in tutta Italia.

 

Qualche consiglio o un paio di comandamenti a chi vorrebbe intraprendere il suo stesso percorso artistico.

Io ai ragazzi dico che devono studiare, perché lo studio è fondamentale e non basta solo avere delle intuizioni buone. Bisogna conoscere, studiare e documentarsi. Studiare tutti i giorni come faceva Morricone. Basta vedere il documentario Ennio, penso che la risposta stia lì dentro! Aggiungo che è un lavoro basato molto sulla fortuna, perché se tu scrivi una grandissima colonna sonora, ma il film non lo vede nessuno, e come se tu non avessi scritto niente. Se tu scrivi una colonna sonora mediocre, e il film lo vedono tutti, la tua carriera si apre a ventaglio in maniera molto importante! Un po’ come il direttore della fotografia, il montatore, il nostro è un lavoro che va al seguito di quello che accade. Ecco, non è detto che se tu scrivi una colonna sonora indimenticabile vieni notato. L’Italia non è un paese dove i registi vanno a sentirsi le colonne sonore. No! Vanno a vedere i film di successo e, poi, se vedono un film di successo, il compositore, il montatore o il direttore della fotografia vengono richiamati perché han fatto quel film di successo, non perché han fatto un buon lavoro. Ecco qua! Purtroppo, questa è la realtà, e va detta.

 

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