La parola al musicologo. Intervista a Pietro Zappalà.

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di Chiara Brun

Pietro Zappalà (62 anni, di Udine) è musicologo e ricercatore presso il Centro Studi Ponchielli di Cremona. I suoi interessi musicologici si incentrano su compositori classico-romantici come Locatelli, Mendelssohn, Bottesini e Ponchielli, dei quali ha riscoperto e pubblicato documenti e spartiti. A Cremona Musica International Exhibitions and Festival è stato uno dei protagonisti della tavola rotonda sul tema Patrimoni Musicali Italiani. Cura, conservazione e promozione del patrimonio musicale italiano; in questa intervista lo abbiamo invitato a gettare luce sulla complessa figura del musicologo, sui suoi compiti e sui contesti di lavoro e ricerca che lo coinvolgono.

 

Dottor Zappalà, di cosa si occupa un musicologo?

Quando mi viene rivolta questa domanda, trovo utile fare un parallelo con la storia dell’arte. Credo sia infatti piuttosto diffusa la consapevolezza della distinzione tra il critico d’arte e l’artista militante: il primo è colui che inquadra i fenomeni dell’arte figurativa in seno alla storia della cultura, laddove è il secondo che produce effettivamente quelle opere. Lo stesso ragionamento vale per la musica: il musicologo ha il compito di esplorarla dal punto di vista culturale, da un lato mettendola in relazione con ambiti e linguaggi differenti, dall’altro cercando nuove connessioni all’interno della disciplina stessa. Tutto questo, lungi dall’essere un mero esercizio intellettuale, ha poi una ricaduta sulla pratica musicale stessa.

 

Qual è la situazione attuale della musicologia in Italia?

La nostra disciplina si è sviluppata molto negli ultimi quarant’anni ed è ancora in una fase molto florida: è presente in parecchie sedi universitarie e conservatori, e come settore di ricerca (che si sviluppa nei diversi centri studio distribuiti sul territorio) ha raggiunto un livello concorrenziale a livello internazionale. Risulta invece poco ricettivo il mercato, che non ha ancora assorbito il concetto e il ruolo del musicologo. In altre nazioni è una figura professionale ben delineata, impiegata in una serie di incarichi specifici che in Italia non hanno ancora trovato spazio.

 

Di cosa si occupa il Centro Studi Ponchielli di Cremona?

L’associazione è nata con lo scopo di studiare questo importante compositore e di valorizzare “l’altro Ponchielli”, ovvero le sue opere sacre, quelle per banda, fino alla musica cameristica vocale e strumentale – dando ormai per assodata la sua fama in ambito operistico. Tuttavia, ci siamo resi conto che anche i melodrammi dovrebbero essere patrocinati e valorizzati perché, escludendo La Gioconda e pochi altri titoli, si tratta spesso di lavori sconosciuti. Inoltre, compito del centro è quello di diffondere la sua musica. Abbiamo iniziato con una strategia promozionale a 360 gradi: organizziamo festival, stiamo pubblicando una collana di musiche inedite che riteniamo meritino una diffusione maggiore e sono stati avviati dei percorsi di conoscenza del compositore.

 

Ci parli della sua esperienza a Cremona Musica.

Innanzitutto vorrei sottolineare la preziosità di questo evento, capace di mettere in contatto varie categorie di operatori del settore. Ho preso parte a una tavola rotonda sui beni musicali, cercando di portare la mia esperienza in questo settore, sia per quanto riguarda il Centro Studi Ponchielli e i problemi che affrontiamo durante la promozione, sia per altre attività che conduciamo in seno al Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali di Cremona, come la valorizzazione musicale. Occorre sempre tenere presenti, da un lato, la complessità e l’estensione del nostro patrimonio, dall’altro i risultati dell’integrazione della tecnologia in questo ambito. Ma abbiamo parlato anche della carenza di assunzioni di figure preparate e della difficoltà di reperire il necessario supporto logistico ed economico.

 

C’è qualche esposizione, o evento, che ha maggiormente suscitato il suo interesse?

C’era molta curiosità in generale, avendo potuto sperimentare negli anni passati la ricchezza delle proposte. Mi hanno colpito in maniera particolare alcuni degli eventi, in particolare quelli che prevedevano l’integrazione della tecnologia ai pianoforti tradizionali, come nel caso del Disklavier Yamaha. Ma amo anche perdermi tra gli stand dell’editoria musicale, una delle mie grandi passioni, per curiosare fra le novità.

 

Qual è l’importanza di manifestazioni di questo tipo?

Incalcolabile. Si tratta di un’esperienza irrinunciabile per qualunque appassionato di musica, che si tratti di un professionista o di un amatore. Certo, il rischio a volte è quello di rimanere disorientati di fronte a tanta esuberanza, a un’immersione che coinvolge tutti i sensi. Suggerirei di cogliere l’occasione per avvicinarsi anche ad altri ambienti che non riguardano il proprio interesse specifico, sfruttando tutte le possibilità offerte dalla rassegna. Si ritorna da Cremona Musica  sempre con la gioia di ciò che si è visto e ascoltato, e con il rammarico di non avere il dono dell’ubiquità, proprio per la vastità di proposte all’interno della kermesse: impossibile annoiarsi!

 

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