L’alba perduta di Turandot.

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di Stefano Teani

Serata complessa, piena di insidie, quella di venerdì 12 agosto a Torre del Lago, per la terza recita di Turandot al 68º Festival Puccini. Entra il Maestro Michele Gamba, a cui è affidata la direzione dell’opera, che con gesto deciso ed estremamente chiaro conduce l’orchestra attraverso questa densa partitura senza alcuna esitazione. Molto apprezzata la scelta di non interrompere mai la finzione scenica per applaudire i celebri numeri musicali (arie di Liù, Nessun dorma ecc.), consentendo così al dramma di scorrere fluido senza inutili “start & stop”. L’orchestra si dimostra ancora una volta capace di raffinatezze e di bei colori, accompagnando con discrezione ed emergendo decisa nei cambi di scena.

La regia, affidata anche quest’anno a Daniele Abbado, con le scene di Angelo Linzalata e i costumi di Giovanna Buzzi, riesce nuovamente a convincere, usando elementi grandiosi come degli enormi pannelli girevoli – sulla cui sommità si sono avvicendati l’Imperatore, Turandot e il Mandarino – che hanno assolto a molte funzioni diverse. L’oblò posto in alto, per esempio, capace di aprirsi per annunciare l’entrata della principessa oppure di rappresentare una magnifica luna piena. Sapiente l’uso delle luci e dei costumi, che enfatizzato alla perfezione l’operato di un coro curato e ben preparato dal Maestro Roberto Ardigò. Altrettanto convincente il coro delle Voci Bianche diretto da Chiara Mariani, con bambini spontanei nel gestire i movimenti scenici e puntuali musicalmente. Spiace soltanto constatare alcuni momenti in cui l’insieme fra il palcoscenico e l’orchestra è mancato, anche se si tratta di una delle insidie di cui sopra: un forte vento, fin dall’inizio dell’opera, ha deciso di rinfrescare i molti uomini in giacca presenti in sala, creando però notevoli disagi agli artisti, sia sul palco che in buca, e disturbando i microfoni dell’amplificazione. Ancora una volta, però, il tempestivo intervento del direttore ha ristabilito l’ordine e riportato la nave sulla giusta rotta.

Discorso analogo per quanto riguarda il cast. A partire dal tenore Theodor Ilincai (Calaf), che inizia la performance piuttosto bene – con un timbro indubbiamente particolare, brunito e molto  morbido – ma si affatica a partire dal secondo atto, provato forse da qualche indisposizione e dalle avverse condizioni atmosferiche. Da professionista, porta comunque a casa un buon risultato, come testimoniano i grandi applausi che seguono i celebrel Nessun dorma. Anche la Turandot di Karine Babajanyan ha un po’ sofferto di qualche affaticamento pregresso e della serata particolare. Dotata di un timbro squillante e ricco, è riuscita comunque a imporsi vocalmente e scenicamente come una vera regina dal cuore algido, soprattutto nella sentita interpretazione della scena dedicata alla principessa Lou-Ling. Si conferma eccezionale la qualità della giovanissima Emanuela Sgarlata, di nuovo sul palco di Torre del Lago nei panni di Liù, sempre a proprio agio sulla scena e perfetta vocalmente. Impressionante anche il suo registro grave, ricco e potente, drammaticamente efficace. Veniamo poi ad Abramo Rosalen, un Timur dalla voce non troppo scura, dal timbro piacevole che ha garantito un’esecuzione pulita e senza pecche. Ottima la prestazione di Giulio Mastrototaro, Didier Pieri e Francesco Pittari, nei panni di Ping, Pong e Pang. Simpatici e spontanei, con voci sempre nitide, pulite e ben proiettate, hanno affascinato con la loro padronanza scenica, strappando al pubblico piccole risate e vari commenti di apprezzamento.

Anche l’Imperatore Altoum, come nella scorsa produzione, si conferma una voce di tutto rispetto. Ruolo spesso bistrattato quello del “figlio del cielo”, è stato qui ben rappresentato grazie alle qualità di Kazuki Yoshida, una voce calda e rassicurante sempre perfettamente a fuoco. Ottima prova anche per Francesco Lucii (il principe di Persia), Davide Battiniello (un Mandarino) e per le due ancelle Francesca Paoletti e Ayaka Kiwada.

Giunti, infine, alla morte di Liù, inizia il suggestivo finale di Luciano Berio. Ecco che il vento raggiunge il suo apice e, quasi a realizzare la vendetta de “l’anima offesa” di Liù, inizia a piovere. Dopo alcuni istanti di esitazione, il pubblico comincia a fuggire e il direttore è costretto a interrompere l’esecuzione. Si conclude così questa serata, indubbiamente piacevole e riuscita (si registra infatti una sala completamente gremita) rimasta tuttavia sospesa, privata dell’arrivo di quell’alba che, alla fine, Turandot cominciava a non temere più.

 

La recensione si riferisce alla serata del 12 agosto 2022.

 

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