L’Onnivoro di musica. Intervista a Francesco Lanzillotta

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di Stefano Teani

Considerato uno dei più interessanti giovani direttori nel panorama musicale italiano, Francesco Lanzillotta ha diretto nei più importanti teatri italiani. È regolarmente ospite di importanti compagini orchestrali, fra le quali l’Orchestra Nazionale della RAI di Torino, Orchestra Haydn di Bolzano, Filarmonica Toscanini di Parma, Orchestra Regionale Toscana. Direttore musicale dell’Orchestra Filarmonica Toscanini per 4 anni, continua con questa Istituzione una collaborazione regolare per altri progetti. Si dedica intensamente alla musica del Ventesimo secolo e all’opera contemporanea. Nel 2015 inaugura il Macerata Opera Festival del quale diventa Direttore Musicale nel 2017. Nella stagione 2016-17 debutta con la Tokyo Philharmonic Orchestra, all’Opera Nazionale di Montpellier, al Teatro dell’Opera di Essen e al Rossini Opera Festival.

 

Nato a Roma, si è diplomato in direzione d’orchestra con Bruno Aprea e in composizione con Luciano Pelosi con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio di Santa Cecilia di Roma. Ha studiato pianoforte con Velia de Vita. Si è perferzionato in direzione d’orchestra a New York presso il Bard College con Harold Farberman, e a Madrid con George Phelivanian. Molto attento ai repertori più ricercati e alla musica del proprio tempo, ha diretto numerose composizioni di musica contemporanea (fra cui la prima de Il medico dei pazzi di Giorgio Battistelli all’Opéra de Nancy e al Teatro La Fenice di Venezia, dove ha inoltre diretto La voix humaine di Poulenc e Il diario di uno scomparso di Janàček, e brani di Matteo D’Amico, Marcello Panni, Ennio Morricone, Ada Gentile, Luciano Pelosi, Carlo Galante, Michele Dall’Ongaro, Francesco Pennisi, Luis Bacalov, Luca Mosca. È regolarmente invitato dalla Tokyo Philharmonic, dall’Orchestra Rai di Torino, dalla Czech Philharmonic.

 

Parlaci un po’ della tua formazione. È molto particolare, dagli studi in conservatorio al piano bar, sei un musicista molto versatile.

 Il mio percorso accademico è stato quello normale di conservatorio, poi parallelamente ho coltivato altre attitudini. Il piano bar è stata un’attività che ho svolto a 18 anni per parecchio tempo per guadagnare qualcosa; nel frattempo avevo un gruppo rock e lavoravo nel Musical suonando e facendo arrangiamenti. Questo per quanto riguarda l’aspetto esecutivo, poi c’è il versante compositivo (dato che nasco come compositore). Ho scritto la colonna sonora di due film, poi ho composto cinque balletti, un Musical, musica e arrangiamenti per il teatro… diciamo che non sono mai riuscito a distinguere la musica colta da quella leggera. Non che non ne conoscessi la differenza, ovviamente, però non ho mai capito perché avrei dovuto scegliere di farne solo una. Si può dire che sia un “onnivoro di musica”.

 

Questo si rispecchia anche nella tua scelta di repertorio come direttore d’orchestra, mi pare.

Certamente. Quando dicono “quel direttore è bravo nel Novecento”, “quello è bravo nel repertorio classico”, che cosa significa? Si può parlare di sintonia con un particolare compositore, questo sì. Un certo autore può risultare più congeniale, riuscendo subito a instaurare un rapporto di comprensione profonda; oppure accade anche il contrario, che a un primo approccio risulti complesso per poi, passando anni a studiarlo, diventare quasi un “cavallo di battaglia”. Inoltre, sono fermamente convinto che per dirigere bene un compositore come Stravinskij (soprattutto nel periodo neoclassico) sia necessario saper dirigere Haydn e vice-versa. Alla fine, più è la musica con cui entri in contatto e più riesci ad allargare il tuo bagaglio di conoscenze per essere un direttore il più possibile completo. E poi, diciamocelo, se dovessi dirigere sempre e solo le stesse partiture mi annoierei a morte!

 

Vedo che, nonostante l’importante carriera in ambito direttoriale, riesci a trovare il tempo per essere molto attivo anche come compositore.

Devo dire che vorrei fare molto di più, cerco di scrivere in ogni ritaglio di tempo che riesco a trovare ma purtroppo non basta mai. Inoltre, un compositore non deve soltanto scrivere, il suo lavoro è anche nel cercare di farsi eseguire, quindi seguendo tutta una serie di percorsi e meccanismi che richiedono molta attenzione. Ovviamente io questo tempo, al momento, non ce l’ho.

 

E come definiresti il tuo modo di scrivere, alla luce della tua poliedricità stilistica? Come ne risente la tua musica di tutte queste influenze?

Domanda interessante che prevede molte risposte. La generazione di compositori di cui faccio parte è cresciuta con l’ultima parte di quell’avanguardia che affondava le radici negli anni Sessanta. Tutti noi ne siamo stati influenzati, non per quanto riguarda l’estetica quanto per il messaggio culturale che la nostra musica avrebbe dovuto mandare alla società. Quindi cosa è successo? Molti di noi si sono trovati a scrivere un tipo di musica che non gli è mai appartenuta ma è il frutto di un’imposizione che, fortunatamente, credo sia cessata dopo la mia generazione. Oggi, passati i quaranta anni d’età, ti dico che non mi importa più e scrivo quello che ho voglia di scrivere, senza classificazioni.

 

E come direttore qual è il tuo rapporto con la musica contemporanea?

Intanto partiamo da un assunto: per me è un dovere morale, in quanto direttore, dirigere la musica del mio tempo. Non me ne vogliano i “vecchi”, ma se nessuno esegue la musica dei giovani compositori come possiamo scoprire le nuove partiture? Per me è davvero emozionante aprire e studiare per la prima volta un nuovo lavoro, stai portando alla luce un’opera che magari nel tempo rimarrà. A me è capitato di scoprire brani che poi sono stati ripresi e rieseguiti; ovviamente non accade sempre, a volte non è più ripresa perché evidentemente non meritava di essere rieseguita.

 

Oltre alla musica dei giovani compositori ti dedichi anche a riscoprire opere un po’ dimenticate, penso a Risurrezione di Alfano, andata in scena al Maggio Musicale Fiorentino nel Gennaio 2020.

Proviamo a fare un ragionamento, prendendo per esempio l’Italia. È abbastanza paradossale pensare che il Paese che per circa cinquecento anni ha sfornato i migliori operisti della storia improvvisamente, dopo Puccini, li abbia esauriti. È ovvio che non possa essere così. C’è una grande porzione di repertorio operistico e sinfonico che noi non eseguiamo perché non lo conosciamo. Ma perché non ne sappiamo niente? Ci sono motivi storici molto chiari, basta aprire un libro di storia della musica per farsi un’idea. E, ancora una volta, fra le centinaia di partiture esistenti e ignote, magari la maggior parte hanno poco spessore ma ce ne sono alcune che sono bellissime. Hai citato Risurrezione, quella è un’opera meravigliosa che ha risentito di un errore comune: giudicare la partitura nuova con i riferimenti del passato. Se si guarda l’opera di Alfano facendo riferimento a Puccini si va fuori strada. Bisognerebbe capire che la maggior parte dei compositori di quel periodo cercava una strada alternativa a quella di Puccini, perché da una parte non avrebbe avuto speranza a confrontarsi con lui nel suo linguaggio, dall’altra ognuno cercava la propria identità musicale. Dobbiamo quindi cercare di giudicare la nuova opera senza fare paragoni, a mente libera, solo così si può capire il valore di quel lavoro inedito.

 

Parlaci un po’ del tuo ruolo nel Macerata Opera Festival. Qual è il tuo obiettivo?

Intanto mi preme sottolineare che quando si parla di Macerata bisogna fare riferimento alla squadra che c’è lì e non al singolo, perché penso che sia uno di quegli esempi in cui capisci che la forza di menti sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda si somma e ne deriva qualcosa di davvero potente. Qual è il nostro obiettivo? Che anche un festival estivo, quindi apparentemente più turistico, possa diventare più prettamente culturale. Quando dico culturale non intendo che dobbiamo istruire le persone, voglio dire che dobbiamo fare opera con coraggio e proiettarla verso una visione futura, facendo sì che si inserisca nella società di oggi. Normalmente si pensa all’opera soltanto come un riferimento a ciò che è stato fatto; se è solo questo, il rischio è di creare una discrasia enorme fra la società e la produzione teatrale. Il rischio è che, fra qualche anno, sia talmente anacronistico andare a teatro che nessuno ci andrà più!

 

Tu sei molto attento alla comunicazione, anche tramite i canali Social. Quanto pensi che conti per chi fa musica oggi?

È essenziale. Oggi è fondamentale riuscire a comunicare attraverso un linguaggio che possa essere decodificato da tutti e non solo da un certo tipo di pubblico. Lo sfruttamento di tutti i canali possibili non è quindi un arrendersi a ciò che ci propone il presente ma, al contrario, significa usare il presente nel miglior modo possibile. Come accade sempre nella vita, ciò che non conosciamo ci spaventa e tendiamo quindi a chiuderci, nulla di più sbagliato! La comunicazione di oggi non può più essere quella di cento o dieci anni fa, è un mondo completamente diverso. Questo a Macerata lo abbiamo capito, abbiamo una direttrice artistica che da questo punto di vista è strepitosa e così lavoriamo quotidianamente. Il punto è riuscire a sfruttare ciò che la realtà ci offre nella maniera più creativa possibile. Altrimenti, se non ci credete, provate a creare una stagione senza usare i Social ma limitandovi ad appendere manifesti ai muri e facendo volantinaggio; vedremo quanta gente verrà.

 

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