«…as the Northern Star» La contemporaneità ritrovata nel Julius Cæsar di Battistelli

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di Stefano Teani

«Sono fermo come la stella polare» dice lo spettro di Cesare, suggellando la propria intramontabile collocazione nella storia dell’umanità. Questo sembra essere il destino comune del condottiero romano e del compositore (anch’egli romano) Giorgio Battistelli. Chi ha potuto assistere dal vivo alla prima esecuzione assoluta della nuova opera Julius Cæsar, commissionata dal Teatro dell’Opera di Roma per l’inaugurazione della stagione 2021-2022, indubbiamente capirà perché pubblicarne la recensione dopo tre giorni sia fin troppo celere. Si tratta, infatti, di un evento talmente denso di significato e di emozioni da richiedere molto tempo per essere elaborato, esattamente come la morte di Cesare, così magistralmente inscenata. Ma cominciamo dal principio.

Il 20 novembre 2021 ha debuttato questa nuova produzione, firmata dal compositore Giorgio Battistelli su libretto di Ian Burton (che ha adattato il testo shakespeariano), regia di Robert Carsen e direzione affidata a Daniele Gatti. Si tratta di una partitura cupa, densa e complessa, capace di mescolare linguaggi musicali e influenze diverse, indubbiamente non semplice per chi si approccia alla musica contemporanea per la prima volta; tuttavia riesce a rapire, in una sorta di trance, anche l’ascoltatore meno esperto, dando invece a chi frequenta abitualmente la musica del presente la sensazione di una vera e propria boccata d’ossigeno. L’elemento sicuramente più potente ed efficace è l’orchestrazione: magmatica, caleidoscopica, sempre dinamica e ricca di colori; particolarmente convincente nell’uso delle percussioni – capaci di suggerire infinite ambientazioni sonore – e degli effetti elettronici delle tastiere, che hanno reso l’atmosfera moderna e tesa.

L’Orchestra del Teatro dell’Opera ha dimostrato una padronanza e un’espressività eccezionali, affrontando una partitura costellata di cambiamenti di tempo e figurazioni complesse con perizia e partecipazione. Certo è che avere di fronte un braccio come quello di Daniele Gatti rende l’impresa un po’ più umana; vale per lui quanto detto da Quintiliano in riferimento allo stile del poeta latino Tibullo: tersus atque elegans (chiaro ed elegante). La ben nota eleganza del suo gesto si è felicemente sposata con una chiarezza metrica capace di tenere saldamente le redini della situazione dalla prima all’ultima nota. Anche in quegli sparuti momenti di sfasamento, la sua freddezza e capacità di andare direttamente al problema e risolverlo all’istante lascia stupefatti. La sensazione che si aveva osservandolo (e chi scrive ha notato non poche persone sporgersi spesso ad ammirarlo) era che possedesse la materia sonora tanto da vedere fisicamente la musica sgorgare dalle sue stesse mani. Altrettanto elevata la prestazione del Coro del Teatro dell’Opera, preparato da Roberto Gabbiani, ugualmente espressivo dal punto di vista musicale e scenico. Ricordiamo che non si tratta di una parte secondaria ma di un personaggio vero e proprio, ovvero il popolo romano. Particolarmente ardua la seconda scena del primo atto, in cui le varie sezioni corali si alternano nel celebre Nunc est bibendum oraziano, concitato e ricco di asimmetrie ritmiche.

La regia di Carsen ha vinto ogni pregiudizio circa l’ambientazione moderna del dramma shakespeariano. In nessun momento la diversa prospettiva storica è stata percepita come una forzatura ma anzi, il pubblico si è trovato completamente coinvolto in una vicenda tanto moderna da sembrare la prima puntata di una serie di Netflix alla House of Cards. Bellissime le scene di Radu Boruzescu – imponenti, essenziali ma sempre accuratissime – i costumi di Luis F. Carvalho – moderni, semplici ma ben riconoscibili nei vari personaggi – e la gestione delle luci di Carsen stesso e Peter Van Praet – capaci di creare tinte cupe con forti chiaroscuri dal sapore caravaggesco.

Coupe de théâtre assoluto quello dell’uccisione di Cesare. Nessun grande tema, nessun colpo di piatti, nessun espediente Hollywoodiano a sancire la dipartita del tiranno: solamente un lungo, tesissimo silenzio, durante il quale i congiurati hanno potuto intuire il vuoto incolmabile che avevano creato. Una “tragedia del dubbio”, come dichiarato dallo stesso compositore in una recente intervista; sicuramente, in questa scena, il dubbio si è prepotentemente insinuato in ogni persona presente, per mezzo del potere devastante del silenzio.

Il cast non ha mai avuto tentennamenti, nonostante l’annuncio di una indisposizione di Cassius, che tuttavia non ha desistito dal presentarsi in scena. A partire dal protagonista, il carismatico Clive Bayley, per proseguire con Elliot Madore, nei panni di un tormentato Brutus, tutti gli interpreti hanno dato una sicurezza scenica e vocale affatto scontata, riuscendo a sovrastare un’orchestrazione spesso stratificata e un uso della vocalità piuttosto ricco. Ottime le prove di Julian Hubbard (Cassius), Dominic Sedgwick (Antony), Michael J, Scott (Casca), Hugo Hamas (Lucius) e Alexander Sprague (Octavius), dell’unica presenza femminile Ruxandra Donose (Calpurnia) e dei ruoli plurimi come Christopher Lemmings (Marullus e Cinna), Christopher Gillett (Indovino e primo plebeo), Allen Boxer (Flavius, Metellus e secondo plebeo), Scott Wilde (Decius e terzo plebeo) e Alessio Verna (Servo di Cesare, Titinius e quarto plebeo).

Resta infine la riflessione più importante, quella che avrebbe spinto a recensire la serata con un’unica parola: finalmente. Dopo ben 120 anni il Costanzi torna a scommettere sulla creatività, commissionando un’opera nuova. L’ultimo era stato Pietro Mascagni che, nel 1901, debuttò con Le maschere. Una grande intuizione, quella del sovrintendente Carlo Fuortes, coronata da un successo fatto di 15 minuti di calorosi applausi e grida entusiastiche. A onor del vero si segnalano anche i prevedibili “buh” di due anziani melomani, scontenti della modernità del linguaggio musicale. Chissà che non si siano confusi, aspettandosi di assistere al Giulio Cesare di Händel.

Sono previste quattro repliche: martedì 23 e giovedì 25 alle ore 20.00, sabato 27 alle 18.00 e domenica 28 alle 16.30.

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