La “Cathédrale Engloutie” di Claude Debussy tra la leggenda e la sezione aurea.

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di Smeralda Nunnari

«La musica è una matematica misteriosa i cui elementi partecipano dell’Infinito. È responsabile del movimento delle acque, del gioco di curve descritte da mutevoli brezze; nulla è più musicale di un tramonto! Per chi sa guardarlo con emozione, è la miglior lezione di sviluppo scritta in quel libro non troppo frequentato dai musicisti che è la Natura… Guardano sui libri, attraverso i maestri, sollevando devotamente quella vecchia polvere sonora; va bene, d’accordo, ma l’arte potrebbe essere più lontano!» (Claude A. Debussy)

Il motivo ispiratore della Cathédrale Engloutie, decimo brano del primo dei due volumi che contengono i ventiquattro Préludes di Claude Debussy, messi in partitura tra il 1909 e il 1913, non è dato dalla numerosa serie dei dipinti per le Cattedrali di Rouen di Claude Monet, esposta a Parigi nel 1895, ma dalla famosa leggenda bretone, che racconta la distruzione della città di Ys, sommersa dal mare, con la sua cattedrale, a causa del comportamento empio dei suoi abitanti.

Ernest Renan nella Prefazione delle Memoria d’infanzia e giovinezza scrive: «Una leggenda tra le più conosciute in Bretagna è quella d’una presunta città di Ys che, in un’epoca sconosciuta, sarebbe stata inghiottita dal mare. In diversi punti della costa viene mostrato il luogo di questa città favolosa, e i pescatori ne fanno degli strani racconti. Nei giorni di tempesta, assicurano, si vede sul fondo delle onde la sommità delle guglie delle sue chiese; nei giorni di calma si sente salire dall’abisso il suono delle sue campane che modula il cantico del giorno. A me sembra spesso di avere nel fondo del cuore una città di Ys che suona ancora ostinatamente delle campane per chiamare alle sacre funzioni dei fedeli che non odono più. Talvolta mi fermo per prestare orecchio a queste tremole vibrazioni che mi sembra vengano da profondità infinite, come voci di un altro mondo. All’avvicinarsi della vecchiaia soprattutto provo piacere, durante il riposo dell’estate, a raccogliere questi suoni lontani di un’Atlantide scomparsa».

Probabilmente il compositore francese viene a conoscenza della storia, grazie all’opera di Edouard Lalo, Le roi d’Ys, rappresentata per la prima volta nel 1888, in cui l’argomento di tale leggenda si sviluppa in una storia drammatica di amore e gelosia. Debussy, nel suo decimo preludio, pervaso da un misticismo altamente suggestivo, evoca la maestosa cattedrale che all’alba emerge lentamente tra i flutti delle onde. La nebbia mattutina, il movimento delle onde, le campane, l’organo sono resi con effetti onomatopeici di sinestetica efficacia. Il tema religioso sembra prorompere dalle canne del suo grande organo e dalle mille voci misteriose dei suoi invisibili fedeli, che giungono dalle profondità marine, mentre le campane completano la misticità del quadro, con il richiamo dei loro rintocchi. Anche la struttura narrativa della leggenda viene seguita con esattezza e prima che la cattedrale riaffondi nel mare disperdendo l’eco dei suoi canti nelle profondità infinita degli abissi, una voce solitaria si eleva, riecheggiando il mistico inno, che l’ha anticipata, nell’Un poco meno lento della terza pagina. Il suo canto ripropone, nel registro basso del pianoforte, il tema chiaro e fluido dell’inizio, inteso nella settima battuta, ma l’espressività di tale tema cresce, si concentra e s’intensifica, sino a diventare un’invocazione. Come in un rito riparatore, la musica, mediante i suoni, svela la nostalgia di una fede perduta, che è sommersa, anch’essa, dai flutti del mare, quasi, a raffigurare simbolicamente il destino dell’uomo.

Nell’evocazione delle solenni sonorità organistiche della Cathédrale engloutie, sono riscontrabili vari punti di contatto, con Bach, pur nella diversità stilistica e nel singolare atteggiamento compositivo. In questo preludio, è manifesta, inoltre, l’applicazione del concetto della divina proporzione o sezione aurea del Fibonacci, in quanto composto da 89 battute, di cui le prime 68 hanno un tempo doppio delle restanti 21. Alla battuta 68, infatti, il brano rallenta e la durata delle note si dimezza. L’effetto prodotto all’ascolto, quindi, riduce le battute di questa prima sezione a 34 e il brano ha una lunghezza percepita da chi lo ascolta di 55 battute, ovvero la sezione aurea di 89.

Fra le varie possibilità di lettura, una rimanda a Richard Wagner. Potrebbe trattarsi di un omaggio nascosto al compositore tedesco, simbolo di una concezione diversa della musica, che Debussy rispetta pur non condividendola, rappresentato come una cattedrale engloutie. Così, la mitica città di Ys della leggenda celtica si collega a Isolde ed ecco spuntare dall’oceano quel Wagner che Debussy mette alla berlina, scimmiottando i due temi principali di Tristan und Isolde, in Golliwogg’s Cake-walk (n. 6 di Children’s Corner). Un altro riferimento si può riscontrare nell’alfabeto runico, un mistico geroglifico della tradizione celtica, a cui Wagner attinge per il ‘plot’ delle sue opere, esiste una runa, cioè una lettera, che ha la forma della nostra ‘I’, maiuscola, e che si chiama, Is, e indica l’acqua ghiacciata. Infatti nelle lingue anglosassoni ice (inglese) e Eis (tedesco) hanno il significato di ghiaccio e si pronunciano nello stesso modo. Nelle formazioni accordali di Debussy sono riconoscibili dei possenti iceberg che sorgono dal mare come, proprio, una cattedrale. E il fatto che poi la cattedrale venga di nuovo sommersa simboleggia lo scioglimento dei ghiacci che formano l’iceberg. Il ghiaccio che, apparentemente, sembra immobile, diventa il paradigma dell’eterno divenire.

 

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