L’espressività poetica nello Studio Op. 10 n. 3 di Fryderyk Chopin.

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di Smeralda Nunnari

«Quando avrà letto questi Studi, quando li avrà lavorati, commentati, se avrà la fortuna di sentirli eseguiti dal suo autore le capiterà di riconoscerli appena. Cerchi il senso vero, scopra il canto, mirabile sempre, ma spesso celato all’evidenza. Questo giovane già all’esordio è al livello dei grandi maestri, e lei sa quanti pochi siano.»

(Cronista di Le pianiste, giornale parigino, novembre 1833, alla sua immaginaria lettrice.)

 

Frédéric Chopin, compositore e pianista polacco, tipicamente romantico, nasce a Żelazowa Wola, il 22 febbraio del 1810, nel Ducato di Varsavia, uno stato polacco istituito da Napoleone Bonaparte. Figlio di un flautista e violinista francese, Nicolas Chopin, originario della Lorena, emigrato in Polonia e della pianista polacca Justyna Krzyżanowska. Allievo del pianista Živny e del compositore Elssner, completa la sua formazione musicale a Varsavia.

I numerosi successi, come compositore ed esecutore, gli aprono le porte verso l’Europa occidentale e, il 2 novembre 1830, si dirige verso l’Austria, con Tytus Sylwester Woyciechowski, suo amico, attivista politico e mecenate dell’arte. In quello stesso mese a Varsavia scoppia la Rivolta di Novembre e Woyciechowski ritorna in Polonia per arruolarsi. L’artista, così, si ritrova solo a Vienna con la nostalgia per la sua terra. In una lettera a un amico scrive: «io maledico il momento della mia partenza.» Nel settembre 1831, durante il viaggio da Vienna a Parigi, mentre si trova a Stoccarda, apprende tristemente, che la rivolta è stata repressa e soffocata nel sangue, dallo zar Nicola I.

La sua rapida ascesa alla gloria di pianista e compositore non vede eclissi, nonostante le sue traversie economiche, le sofferenze fisiche, le dolcezze e le angosce, nelle sue relazioni amorose con Costanza Gladkowska, Marja Wodzińska e Aurora Dudevant, ossia George Sand e i rimpianti della patria lontana, imprimono nella sua vita e nella sua arte segni continui e profondi.

Tra le sue composizioni, scritte per pianoforte, gli Studi costituiscono un’acme tecnica pianistica rivoluzionaria, capace di elevare tale forma musicale da esercizi prettamente utilitaristici a grandi capolavori artistici. Sono complessivamente ventisette composizioni, scritte e pubblicate, negli anni trenta dell’Ottocento, suddivise in due raccolte di dodici studi, numerati come Op. 10 e Op. 25 e una serie di tre studi senza un numero di Opus assegnato. Chopin dedica la sua prima serie di Studi «à mon ami Franz Liszt» («al mio amico Franz Liszt»), la seconda all’amante di Franz Liszt, Marie d’Agoult e il terzo gruppo rappresenta un contributo al Méthode des méthodes de piano, un libro di istruzioni per pianoforte di Ignaz Moscheles e François-Joseph Fétis. Liszt, onorato per la dedica attribuitagli, in riferimento al primo ciclo degli Studi, mostra pubblicamente di padroneggiarli, così bene, da carpire a Chopin un’ammirata affermazione: «Vorrei proprio rubargli il modo di eseguire i miei Studi».

Gli Studi dell’op. 10 mostrano una caratteristica peculiare, poiché ognuno contrasta con il successivo, per il movimento, per l’espressività e per la tecnica. Sembrano scritti per essere eseguiti in coppia. Ciò è evidente nello Studio n. 3, in Mi maggiore, con l’indicazione dinamica di Lento ma non troppo, che, in fondo alla pagina autografa di Chopin, preannuncia la notazione «attacca il presto con fuoco» e corrisponde esattamente all’istruzione dinamica dello Studio n. 4, brano contrastante con il precedente, sia per la tecnica, sia per il virtuosismo, sia per la focosità.

Pare che, durante l’esecuzione del terzo brano da parte dell’allievo Guttmann, l’autore avesse esclamato: «O. ma patrie!». La nostalgia della patria perduta per sempre, probabilmente, costituisce una premessa emotiva, tale da far scattare, nella fantasia del compositore la creazione di questo brano di indicibile significato emotivo ed intensità lirica. Nelle due idee tematiche contrastanti, sono presenti meravigliose suggestioni di musica popolare. Un tema dolce e cantabile, ma scosso nel profondo, dal sapore di notturno, s’increspa leggermente nel suo prosieguo, per tornare, dopo un episodio centrale completamente diverso, che trasformato, diviene agitato.

In questa terza composizione, l’interesse tecnico passa in secondo piano, tranne nella parte centrale, dove le due mani devono eseguire «con bravura» dei passaggi di seste, la cui disposizione cromatica sembra anticipare l’Incantesimo del fuoco o fuoco magico della Walkiria di Wagner. Nella prima e nella simmetrica terza parte di questo meraviglioso Lied tripartito, l’assunto tecnico è quello che caratterizza ogni «monodia accompagnata», dove ad una melodia si deve assegnare l’adeguato rilievo rispetto ad un accompagnamento da calibrare specialmente nei suoi valori timbrici. Così, dopo una sezione virtuosistica, da vero studio, l’aspetto agitato e inquieto ritrova, nella terza parte, il clima più calmo e disteso dell’espressività iniziale, fino a spegnersi come un sole al suo tramonto. Con grande abilità compositiva, l’artista riesce a unire la tecnica con l’espressività drammatica, interrompendo la grande liricità iniziale, staccandola dalla ripresa finale. Chopin stesso afferma, in riferimento a tale melodia di non averne mai scritta una più bella.

Tale composizione, sottotitolata Tristesse, da uno degli editori, è stata utilizzata, in diversi ambiti, per la grande bellezza della sua melodia ed ha ispirato vari testi, tra cui: In mir klingt ein Lied di Ernst Marischka, per il film Abschiedswalzer (1934); Mon coeur vous dedie sa mélodie di Albert Valentin, per il film La Chanson de l’Autieu. Tino Rossi la riprende nella canzone Tristesse (1939 – testi di Loysel / Marcuse); Edgardo Donato nel tango La Melodia del Corazón (1940); Jo Stafford in No Other Love (1950). Si ascolta, anche, nei film L’Insoumise (1938), Vaudou (1943), La Chanson du Souvenir (1945) e Quelli che non abbiamo avuto (1981), nel film per la televisione David Copperfield (1999). È nota la rielaborazione, con l’aggiunta del testo, da parte di Vito Pallavicini, nel brano pop: Il suo volto, il suo sorriso (1970), interpretato da Al Bano. La melodia appare, inoltre, in ambito sacro, come nel canto religioso: Dolce Maria, utilizzato come colonna sonora nel film Le ali della vita (2000).

 

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