Musiche migranti. Intervista a Salvatore Sclafani.

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di Ruben Marzà

Gli studi a Palermo, con un laurea in Pianoforte e una in Lingue e letterature moderne: poi l’Erasmus a Bruxelles e il colpo di fulmine per la città simbolo di un’Europa dove le distanze si accorciano e le opportunità si moltiplicano. La storia di Salvatore Sclafani, 32enne pianista palermitano, è quella di un musicista internazionale e poliedrico: nella capitale belga, dove vive dal 2014, svolge attualmente un dottorato in Arts et sciences de l’art; ma è anche docente di Pianoforte presso il Conservatoire royal de Bruxelles e il Conservatoire de Maubeuge (Francia). La sua ricerca verte sull’influenza delle danze tradizionali argentine sulla musica pianistica di compositori argentini del XX secolo, in particolare di Alberto Ginastera: e non è certo un caso se a Cremona Musica International Exhibitions and Festival si è esibito in un recital intitolato Musiche migranti. Ma fresco di uscita c’è anche un disco in duo pianistico quattro mani per Da Vinci Classics, e in arrivo un libro scritto a quattro mani con Giorgio Battistelli.

 

Il suo progetto di dottorato si muove tra pratica pianistica e ricerca musicologica: un approccio decisamente non comune, specie in Italia.

Si tratta di una partnership tra l’ULB [Université Libre de Bruxelles, ndr] e il Conservatoire royal, assimilabile al dottorato di ricerca artistica: mi sembra che in Italia non siano ancora presenti percorsi simili, ma probabilmente lo saranno quando verrà attivato il cosiddetto Terzo Ciclo in conservatorio. È un approccio che presuppone una ricerca applicata all’interpretazione pianistica: la sfida, quindi, è quella di fornire dati scientifici e condivisibili su qualcosa che difficilmente può dirsi scientifico, ovvero la performance musicale.

 

Qual è il tema della sua ricerca?

L’impatto delle danze tradizionali argentine nella musica pianistica di compositori argentini del Novecento, come Alberto Ginastera. Tutto parte da una serie di interrogativi: la consapevolezza di questo impatto nel linguaggio della musica colta può contribuire a un’interpretazione informata? E quanto è opportuno immaginare, appunto, un’interpretazione informata di questo repertorio, quando in realtà il compositore non faceva che infondere stilemi di musica popolare in un linguaggio modernista? Come in tanti percorsi di ricerca, le domande poste in partenza sono esse stesse una forma di approccio e quasi più importanti del risultato effettivo della ricerca.

 

Come porta avanti questo progetto?

Cerco di tenere sempre a mente la questione fondamentale: tutto ciò che faccio, cosa restituisce al mio essere pianista? Non si tratta infatti di un dottorato in Musicologia, ma non deve neanche tramutarsi nell’ennesima specializzazione strumentale: le due prospettive si muovono insieme, e spesso si intrecciano.

 

Quella del musicista-ricercatore è una figura sempre più diffusa, ma forse permane ancora una certa diffidenza, come se chi lavora in ambito accademico non potesse aspirare al prestigio del musicista “puro”.

Si tratta di un connubio molto difficile, anche se la distinzione è sottile: qualunque interprete è, in misura maggiore o minore, ricercatore, laddove è appunto interprete consapevole di uno spartito. Quello che cerco di fare è rispondere a domande teoriche attraverso la pratica: nel caso, ad esempio, della Suite de Danzas Criollas di Ginastera, ho provato a imparare i ritmi e i passi di base delle danze richiamate dal compositore (come il gato, il malambo o la zamba), per poi considerare se e quale impatto questo studio abbia nella mia interpretazione pianistica.

 

Dove nasce questo interesse per la tradizione argentina?

Nel 2013, prima di terminare il Biennio in Pianoforte, a Palermo ho conseguito una laurea triennale in Lingue e letterature moderne: tra i vari corsi, ad affascinarmi era stato quello di Letterature ispanoamericane, e in particolare le opere argentine di fine Ottocento legate al tema del gaucho delle pampas. Ma amavo anche il Novecento, da Borges a Cortázar soprattutto, su cui mi sono laureato. Ho messo da parte questo interesse per qualche anno finché, nel preparare il programma di esame finale del Master in Pianoforte al Conservatoire royal de Bruxelles, mi imbattei proprio nella Suite di Ginastera: pensai così di unire le mie due passioni, partendo da una continuità fra letteratura e musica e cercando un confronto diretto fra tradizione orale e repertorio classico.

 

Tutto questo confluisce direttamente nel recital pianistico da lei proposto a Cremona, intitolato Musiche migranti

Mi è sempre piaciuto presentare programmi tematici, a maggior ragione se legati a un argomento a me caro. Ho voluto includere sia compositori che hanno vissuto personalmente la migrazione, sia musiche ispirate all’incontro fra culture (come nel caso di Ginastera). Ma in questo repertorio fanno capolino anche autori insospettabili, come Domenico Scarlatti, che per decenni abitò nella penisola iberica: pur non essendoci rimandi palesi a forme popolari, in molti suoi brani sono presenti armonie legate alla musica tradizionale. Lo stesso Chopin opera, nelle mazurke, una stilizzazione del repertorio orale. Ho voluto mostrare come l’impronta della migrazione nella musica colta sia molto più marcata e diffusa di quanto si pensi. Poi, da pianista italiano a Bruxelles, avendo vissuto l’emigrazione in maniera positiva, ho sempre voluto approfondire questo tema, che oggi percepiamo nella sua estrema e drammatica attualità.

 

Veniamo al suo progetto di duo pianistico Due Di Duo, e al recente lavoro discografico per Da Vinci Classics.

Airs Galants, uscito a fine settembre, mi vede accanto a Caterina Roberti in un repertorio per pianoforte a quattro mani che guarda allo stesso tempo al Barocco e al Novecento. Caterina e io ci siamo conosciuti a Bruxelles nella classe di Eliane Reyes, la stessa dove ora sono assistente, e con questo disco abbiamo voluto coronare la nostra attività degli ultimi anni. Cuore del lavoro è la prima incisione di una trascrizione delle Indes Galantes realizzata da Léon Roques nel 1908, sulla scia della monumentale opera di riscoperta del repertorio di Rameau da parte di Saint-Saëns. Ci sono poi le Antiche Danze e Arie per Liuto di Respighi, che richiamano nuovamente il tema del rapporto tra musica colta e popolare. Siamo molto soddisfatti del lavoro, e abbiamo anche avuto il piacere di presentarlo in anteprima a Musiq3, un po’ l’equivalente belga della nostra Radio 3.

 

Infine uno sguardo a un importante progetto letterario, il libro scritto a quattro mani con Giorgio Battistelli.

La mia grande passione e curiosità per la letteratura mi ha spinto a cimentarmi anche con la scrittura, avendo occasione di collaborare anche con riviste come Amadeus e Suonare news; ho sperimentato spesso il format dell’intervista, ed è così che sono entrato in contatto con il maestro Battistelli. Poi, quest’anno è arrivata la proposta, del tutto inattesa, di scrivere un libro con lui, di tracciarne un percorso umano e artistico attraverso delle conversazioni; l’uscita del volume è prevista per le edizioni LIM entro la fine del 2023. Credo ne sia emerso un ritratto autentico del compositore, e mi auguro di essere stato efficace nel curare la stesura di queste pagine, esito di tante lunghe e intense conversazioni.

 

Docente in Belgio e in Francia, ma con numerosi progetti in Italia. Dove la porterà la sua carriera?

Ho la fortuna di vivere in una città, Bruxelles, dalla dimensione davvero europea: da qui è possibile coltivare progetti sia in Belgio che in Francia, ma anche in altri Paesi e specialmente in Italia, che resta a poco più di un’ora di aereo. Non perdo occasione di tornare nel mio Paese per suonare e presentare i frutti delle mie ricerche e dei miei studi – e nella mia Sicilia, in particolare, dove ritrovo gli amici di sempre!

 

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