Un Italiano a Vilnius. Intervista a Sesto Quatrini

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di Stefano Teani

Sesto Quatrini, uno dei direttori più interessanti della sua generazione. Attualmente Direttore Artistico del Teatro dell’opera Nazionale Lituana di Vilnius (LNOBT), è stato Assistente e Cover Conductor di Fabio Luisi al MET. La sua profonda conoscenza musicale (e non solo) lo rende estremamente duttile nel passare dal repertorio sinfonico a quello operistico. A quest’ultimo si dedica con grande passione, trovandosi particolarmente a suo agio nel repertorio belcantistico, nel quale ama lavorare anche compositivamente, riorchestrando parti mancanti, adattando la strumentazione alle esigenze del momento e scrivendo cadenze adatte al solista di riferimento. Tutto questo fa di lui un acclamato professionista e un punto di riferimento per i giovani direttori.

Romano, classe ’84, Sesto Quatrini ha studiato direzione d’orchestra, composizione e tromba presso il Conservatorio”Alfredo Casella” de L’ Aquila e alla Scuola Civica “Claudio Abbado” di Milano. Ha fondato due compagnie, Les Voix Concertantes a Parigi e Bare Opera a NYC con le quali debutta La traviata, Rigoletto, L’elisir d’amore e L’enfant et les sortilèges, L’enfant prodigue, Goyescas, La cambiale di matrimonio e Figaro&Figaro, fusione drammaturgica di Nozze di Figaro e Barbiere di Siviglia. Fra le orchestre da lui dirette la Danish National Symphony Orchestra, Hungarian Radio Symphony Orchestra, Tokyo Philarmonic Orchestra, Latvian National Symphony Orchestra, Orquestra Sinfónica Portuguesa,  National Philarmonic of Russia, Orquesta Filarmónica de Gran Canaria, Sinfónica de Tenerife, Symphonique de Saint-Étienne Loire, Frankfurt Opern and Museumorchester, Nordwestdeutsche Philharmonie, Orchestra Filarmonica Italiana, Orchestra Internazionale d’Italia, Orchestra Haydn di Bolzano, Filarmonica Arturo Toscanini, Sinfonica Abruzzese, Orchestra dei Pomeriggi Musicali, LaVerdi, Orchestre dell’Accademia Teatro alla Scala, del Teatro Regio di Torino, dell’Arena di Verona, del Comunale di Bologna, del Teatro Lirico di Cagliari, de La Fenice di Venezia, del Maggio Musicale Fiorentino, del Petruzzelli di Bari ed ha collaborato con solisti quali

Elina Garanca, Sondra Radvanovsky, Piotr Bezcala, Matthew Polenzani, Mariusz Kwiecen, Roberto Alagna, Olga Peretyatko, Kristine Opolais, Markus Werba, Nino Machaidze.

 

Cominciamo dalla difficile situazione attuale. Quanto ha risentito il tuo calendario delle restrizioni dovute al Covid?

 Ho perso moltissimo. Avevo un calendario molto fitto e alla fine sono riuscito a fare solo due concerti al MITO a settembre (andati molto bene, uno è stato anche trasmesso in diretta radiofonica su Rai Radio3), la prima di Manon Lescaut a Francoforte e poi Anna Bolena nel mio Teatro a Vilnius.

 

A proposito della Anna Bolena, so che è stata una vera e propria impresa.

Puoi dirlo forte, abbiamo avuto delle sventure incredibili. La produzione doveva cominciare a maggio scorso come chiusura della stagione. Ovviamente tutto rimandato (sei recite) a fine agosto causa pandemia. Torniamo in estate per cominciare le prove (tutti noi italiani con tampone negativo) e il 7 agosto esce la notizia che c’è un focolaio in teatro, 14 persone contagiate; produzione sospesa, tutti in isolamento e buona parte del cast contagiato. Dopo un mese di isolamento abbiamo fatto in tempo a tornare qualche giorno in Italia per poi ripartire per Vilnius e ricominciare le prove. Ma non è finita qui! Appena arrivato c’è stato un contagio nel coro, dunque tutti isolati in maniera che io li rivedessi direttamente per l’ultima prova di assieme. Voglio ricordare che stiamo parlando di una produzione nuova di Anna Bolena in versione integrale, 3 ore e mezza di opera… Infine la sera dell’ultima prova si verifica un contagio in orchestra e quindi anche loro finiscono in isolamento e non possiamo più fare la recita.

 

E quindi come avete fatto ad andare comunque in scena in queste condizioni?

Abbiamo dovuto “raschiare il fondo del barile”, come si dice. Abbiamo contattato i musicisti che non avevano suonato nelle prove e poi, con le finanze a disposizione, abbiamo chiamato qualche ospite dalle altre due orchestre della città. In questo modo siamo riusciti a mettere in piedi un’orchestra ridotta, ma che come quantità di suono risultava quasi filologica, con fiati a due, 4 violini primi, 4 secondi, 3 viole, 2 violoncelli e un contrabbasso tutti distanziati. Così siamo andati in scena. Ed è stato un trionfo sia di pubblico che di critica.

 

Direi che si tratta di un’impresa titanica, sarai molto soddisfatto in quanto direttore musicale del teatro.

Ovviamente sì, ma lo sono ancora di più come Direttore Artistico. Quello che davvero mi gratifica è leggere sui giornali lituani che “Sesto Quatrini due anni fa ci ha promesso qualità e oggi ha mantenuto la promessa”. Quando sono arrivato ho chiesto di lasciarmi fare “a modo mio”, garantendo che avrei portato quel teatro a essere una realtà frizzante nel panorama Europeo e oggi questo è avvenuto. Lo conferma il fatto che se prima portare uno o due cantanti in carriera era un processo complesso; oggi sono le agenzie (anche le più grandi) che ci chiamano per proporre alcuni dei  loro artisti. Stiamo programmando fino al 2025, Covid permettendo…

 

Evidentemente hai molte qualità anche come direttore artistico e non solo come direttore musicale.

Ecco, questo è un aspetto che mi preme chiarire. Io non sapevo fare questo mestiere e sono tuttora dell’idea di non averne i requisiti. Sai, ho accettato il ruolo di direttore musicale perché sono un direttore d’orchestra, quindi è un tipo di lavoro adatto alla mia formazione e alle mie competenze. Al contrario, io non ho studiato per fare il direttore artistico, non sono particolarmente incline alla diplomazia (sono schietto e diretto, poco capace di ordire trame) e dunque sono l’ultima persona che ci si aspetta di vedere in questo ruolo. Tuttavia in Lituania la mia linea sta pagando e soprattutto lo sta facendo la politica della “gioventù”, un vera e propria prima  linea verde: il Sovrintendente e la Deputy General Manager hanno 40 anni, il Planning Department ne ha 37 anni, io e il Chief Conductor che ho nominato 36. Si tratta quindi di un team di under-40 (dal quale sto imparando moltissimo) che gestisce un teatro nazionale e si è preso dei bei rischi; anche con un filo di incoscienza, ma si tratta di quella spregiudicatezza che rende il teatro ancora possibile.

 

Parlando del tuo impegno come direttore d’orchestra, mi sembra che ti dedichi soprattutto all’opera.

In realtà mi sto guardando intorno anche per quanto riguarda il repertorio sinfonico. Purtroppo mi sembra sempre più evidente che io, come tanti altri, paghi lo scotto di essere italiano. Mi spiego meglio. Tranne pochissimi casi – mi riferisco a Gatti, Noseda, Luisi, grandissimi direttori che riescono a esprimersi nel sinfonico ai massimi livelli mondiali, e poi c’è Muti che però appartiene alla generazione precedente – i giovani direttori italiani hanno delle carriere più importanti nell’opera che nel sinfonico, tranne sparutissime eccezioni. Parlo proprio dal punto di vista degli incarichi, tendenzialmente a un direttore italiano verranno offerti più posti di rilievo in ambito operistico. Per quanto mi riguarda mi trovo ad avere ingaggi da ora al 2024 in alcuni dei più importanti teatri al mondo senza però avere l’equivalente nel repertorio sinfonico.

 

Qual è secondo te una qualità che è tipica del direttore d’orchestra?

Fra le tante sicuramente ce n’è una davvero propria solo dei direttori d’orchestra: la capacità di mantenere concentrazione e sopportare lo stress in tempi lunghi. Con questo non voglio dire che gli altri che lavorano in ambito artistico non si debbano concentrare, è chiaro che anche il cantante o il musicista che debutta in un teatro importante abbia un grande carico di stress e necessiti di concentrazione. Il soprano che debutta Tosca alla Scala probabilmente è più teso del direttore, però ha dei momenti in cui esce, si trucca, può riguardare lo spartito o riprendersi psicologicamente. Il direttore, invece, anche se dirige un’opera lunghissima di 4 o 5 ore deve essere sempre presente al massimo delle sue facoltà. Quando ho diretto in versione integrale La gazza ladra – 4 ore e 20 – vedevo il coro (che canta pochissimo in quell’opera) stanco, che mi guardavano come fossi se io fossi “posseduto”, perché continuavo a dare tutto. Lì mi sono reso conto di essere capace di mantenere la concentrazione per tutte quelle ore e questa è una grande crescita  personale. Ho letto che le serie tv americane si basano su studi che hanno provato l’incapacità dell’uomo medio di restare concentrato per più di 50 minuti continuativi. Noi non ce lo possiamo permettere, dobbiamo riuscire a lasciarci andare rimanendo concentrati su ogni singolo parametro per tutta la durata del brano musicale.

 

Quindi si tratta di una questione di “allenamento”? Col tempo dirigi brani sempre più lunghi e rafforzi la tua concentrazione?Questo sicuramente fa parte del percorso del direttore ma d’altra parte non è solo una mera questione di durata ma anche di profondità delle tematiche affrontate. Ti faccio un esempio nel cinema: Il Gladiatore dura 2 ore e 40 ma quando lo hai guardato finisce lì, non ti grava con ulteriori riflessioni o quesiti; al contrario un film come A beautiful mind obbliga chi lo fruisce a uno sforzo, a causa delle problematiche che tratta, ha un peso specifico diverso. La stessa cosa accade con i grandi drammi shakespeariani (penso a Re Lear, Macbeth), si tratta di testi tesi, in cui ogni respiro ha un significato più profondo. Tornando all’opera, dopo aver diretto Don Carlo, per esempio, io ero distrutto; ma non sarebbe stato diverso se la durata fosse stata la metà, perché ciò che mi ha reso esausto era proprio questa vastità e profondità di significato insita in ogni aspetto. Quando dirigo un lavoro del genere torno a casa che non ho altro da dire per quella giornata, non so se mi spiego.

 

Puoi darci qualche anteprima sui tuoi prossimi appuntamenti?

 Guarda, ancora non annunciata in conferenza stampa ma che posso dirti in esclusiva è un Rosenkavalier di Strauss con regia di Damiano Michieletto. Prodotta da noi come capofila, il Théâtre Royal de la Monnaie, il Comunale di Bologna e il teatro Stanislavskij di Mosca. Non è cosa da poco che Michieletto venga a fare una prima in Lituania e che si riescano a creare sinergie così importanti, per questo sono molto contento del percorso che ho fatto e che spero di continuare a fare.

 

 

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