Mozart o macchina? Quando l’IA compone sinfonie.

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di Stefano Teani

La macchina può creare arte? O sta solo riproducendo la forma vuota del genio umano?”
Domanda aperta nel dibattito contemporaneo su AI e creatività.

 

Unepoca in cui le macchine scrivono musica.

Siamo abituati a pensare che la musica – come la poesia, la pittura o la filosofia – sia l’ultima roccaforte della creatività umana. Eppure, negli ultimi anni, intelligenze artificiali hanno iniziato a comporre brani originali, pastiches in stile Chopin, improvvisazioni jazzistiche o partiture corali degne di Palestrina.

Cosa significa questo per l’idea stessa di “autore”? Siamo ancora capaci di distinguere tra un brano composto da un essere umano e uno creato da un algoritmo?

 

Come funziona unIA compositrice.

Le IA che compongono musica, come AIVA, MuseNet o MusicLM, utilizzano modelli di machine learning addestrati su migliaia di partiture e registrazioni. Il processo è generalmente questo:

  1. Analisi statistica dei pattern musicali ricorrenti (armonie, cadenze, stili).
  2. Previsione probabilistica delle note o sequenze più plausibili.
  3. Generazione autonoma di nuove strutture melodiche e armoniche.

Tutto ciò può sembrare “meccanico”, ma è simile a ciò che fa il nostro cervello: anticipare, combinare, variare.

La grande domanda filosofica è: se una macchina può imitare perfettamente uno stile musicale, sta creando arte o solo una sua imitazione?

Secondo Walter Benjamin, nell’epoca della riproducibilità tecnica “l’aura dell’opera d’arte” svanisce. Potremmo dire che l’IA sia la forma estrema di questa smaterializzazione: l’autore non è più nemmeno umano.

Per Bernard Stiegler, la tecnica ha sempre fatto parte della cultura umana, ma oggi rischia di sostituirla.

Eppure, quando ascoltiamo un brano composto da un’IA, la nostra emozione è reale. Quindi: conta chi scrive, o come ci fa sentire?

 

Lesperienza estetica: una questione umana.

Ciò che distingue la musica “umana” da quella artificiale potrebbe non essere la complessità, ma il contesto. Quando sappiamo che dietro un brano c’è una storia, un vissuto, un’urgenza espressiva, cambiamo modo di ascoltare.

La musica classica – ricca di strutture, tradizioni e significati culturali – è un banco di prova ideale per capire dove finisce il calcolo e inizia il senso.

Come afferma Nelson Goodman, l’opera d’arte è un simbolo che vive nel suo uso interpretativo: senza un destinatario umano, non c’è musica.

L’IA, quindi, non distrugge la musica, ma ci costringe a ridefinire che cos’è. Può diventare uno strumento di ispirazione, di dialogo, perfino di democratizzazione dell’arte. Ma dobbiamo restare vigili: ogni opera ha un costo umano, anche se invisibile.

In un’epoca in cui possiamo chiedere a una macchina di scrivere una sinfonia, forse la vera sfida è imparare ad ascoltare di nuovo.

 

Riferimenti bibliografici.

  • Benjamin, W. (1936). Lopera darte nellepoca della sua riproducibilità tecnica.
  • Stiegler, B. (2004). Echographies of Television.
  • Goodman, N. (1976). Languages of Art.
  • Cope, D. (2001). Virtual Music: Computer Synthesis of Musical Style.
  • Kirn, P. (2023). “AI and Music: Beyond the Turing Test.” CDM.
  • OpenAI (2023). MuseNet Technical Overview.

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