“Voiles” di Claude Debussy.

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di Smeralda Nunnari

«(…) Io non rivoluziono nulla; non demolisco nulla. Seguo tranquillo la mia strada, senza fare nessuna propaganda alle mie idee, come farebbe un rivoluzionario (…) Io sono per la libertà. La libertà, per natura, è libera. Tutti i rumori che si possono sentire intorno a voi possono essere resi musicalmente. Si può rappresentare tutto ciò che un fine orecchio percepisce nel ritmo del mondo che lo circonda. Certe persone vogliono per prima cosa conformarsi alle regole; io voglio rendere solo ciò che sento (…) Bisogna cercare la disciplina nella libertà e non nelle formule di una filosofia diventata caduca e buona solo per i deboli. Non ascoltare i consigli di nessuno, se non quelli del vento che passa e ci racconta la storia del mondo.»

(Claude Debussy)

“Voiles” è il secondo brano dei ventiquattro preludi delle due raccolte per pianoforte: Premier livre e Deuxième livre, contenenti ciascuno dodici composizioni di tonalità e ispirazione differenti, portati a termine rispettivamente nel 1910 e nel 1913.

L’intera raccolta vuole essere un omaggio all’opera omonima del compositore francese a Fryderyk Chopin, ispiratosi, a sua volta, ai quarantotto preludi del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach. Il numero di dodici o multiplo di esso non è legato alle tonalità maggiori e minori, in successione. I preludi di Debussy si distaccano da entrambi i modelli per l’assenza di un ordine programmatico e di qualsiasi forma codificata. Alla «memoria di Fryderyk Chopin» Debussy dedica i Dodici studi, ultima sua opera per pianoforte, dando con ciò una pubblica testimonianza della sua inalterata ammirazione verso l’amatissimo maestro polacco di Madame Mautet de Sivry, suocera del poeta Paul Verlaine, sua mentore.

Il titolo di questo preludio appare di duplice significato, in quanto, già, per la lingua francese, lo stesso termine voiles significa, sia vele, che veli. Potrebbe, quindi, riferirsi tanto alle vele delle imbarcazioni quanto ai veli, come quelli lasciati cadere da Salomé nell’opera di Richard Strauss vista da Debussy, nel maggio 1907.Tale ambivalenza di senso è stata alimentata dallo stesso artista che volutamente ha scelto di non sciogliere tale enigma interpretativo, per creare un senso di incertezza e dare la possibilità di diverse letture

L’artista con la sua musica, non spiegata, non decifrata, fatta di accenni, di enigmatiche analogie non dice tutto, perché, secondo Debussy, nel linguaggio musicale dicendo di meno si dice di più. Egli intende portare dei messaggi che non devono essere intesi in un significato finito e determinato, lasciando all’immaginazione e ai sentimenti dell’interprete e dell’ascoltatore la libertà di definirli. Lo stesso alone di indeterminatezza è riscontrabile nella posizione dei titoli stessi dei ventiquattro preludi, posti dal compositore alla fine di ogni brano, sospesi tra tre puntini, che servono a velarne le sue intenzioni, più che a descriverne le immagini.

La tendenza maggiormente diffusa è quella di attribuire a voiles il significato di vele, che ondeggiano al soffio del vento. Supposizione che trova conferma nelle battute 42 – 43, dove la soffusa atmosfera di calma serenità sembra interrompersi improvvisamente per un colpo di vento. Questo preludio in Do maggiore è composto quasi interamente sulla scala esatonale, tranne un breve passaggio fondato sulla scala pentatonica. La sua struttura segue la forma ternaria con lo schema A-B-A. Le indicazioni dell’autore sono proprie di una libertà esecutiva leggera e danzante come il vento che muove in modo leggero e irregolare le vele di una nave: “Modéré” e poi “Dans un rythme sans rigueur et caressant”.

Nella partitura sono riscontrabili tre elementi tematici, sui quali esso è costruito: un primo motivo di carattere ostinato; un elemento ritmico che assume, anche, carattere di pedale; ed, infine, il tema melodico. Però la chiara tonalità in Do maggiore, presenta inquietudini quando viene introdotto l’ostinato nelle note basse in tonalità Si bemolle maggiore; questo si sovrappone all’ondeggiare della melodia fino all’introduzione di una serie di arpeggi fluttuanti. Tre eventi sonori che nel loro sovrapporsi e nel loro ripresentarsi con lievi variazioni acquistano un loro significato musicale. Più che il titolo, più che l’oggetto, più che il fruscio del vento sull’oggetto è la combinazione dei tre oggetti musicali che dà al brano il suo carattere attraente e incantevole.

La metafora del velo, tanto caro ai simbolisti, è, sempre, presente in Debussy, in una lettera all’amico Chausson, in riferimento  alla sua opera lirica, Pelléas et Mélisande, Debussy precisa: «sono andato a cercare la musica dietro tutti i veli che accumula, ne ho riportato qualcosa che forse piacerà a voi, quanto agli altri non me ne importa; mi son servito, del tutto spontaneamente, di un mezzo che mi sembra raro, vale a dire del silenzio (…) come un mezzo di espressione e forse come del solo modo di far valere l’emozione di una frase (…) Il silenzio è una bella cosa e Dio sa che le battute vuote di Pelléas testimoniano il mio amore per questo tipo di emozione». E ancora: «la musica è un sogno a cui son stati tolti i veli». Il velo, come la musica, è un infinito e potente mezzo di evanescenza, un volatile svestimento. Un oggetto che consente di vedere e, nel contempo, non vedere con chiarezza. Si crea un mistero insolubile, poiché dietro il velo non c’è la vera realtà, intuita da Schopenhauer, il velo di Maya, qui, non vuole essere squarciato, alzato, perché la troppa chiarezza, per Debussy, distrugge il sogno.

Per il compositore il suono puro è il mezzo per ricercare ed esprimere l’ideale assoluto e rivela: «…la bellezza di un’opera d’arte resterà sempre misteriosa, non si potrà mai verificare esattamente com’è fatta. Lasciamo alla musica questa peculiare magia; grazie alla sua essenza, è capace di contenerne più di qualsiasi altra arte…»

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