“Les fées sont d’exquises danseuses” (“Le fate sono danzatrici squisite”) di Claude Debussy: La concretezza sonora di un mondo incantato.

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di Smeralda Nunnari

«Lavoro a cose che saranno comprese solo dai nipoti del XX secolo.» (Claude Debussy, da una lettera a René Landormy, 25 luglio 1912)

Achille-Claude Debussy, compositore e pianista francese (Saint-Germain-en-Laye, 22 agosto 1862 – Parigi, 25 marzo 1918) ha un ruolo fondamentale nella musica occidentale moderna della seconda metà del XIX sec. Egli rivoluziona l’armonia, il ritmo, la sonorità e la forma della musica con geniale anticonvenzionalismo. Attraverso le sue innovazioni, la sua avversione verso le regole sintattiche e procedimenti di sviluppo prestabiliti, la musica francese raggiunge un’altezza mai prima conosciuta.

Frequentatore di circoli letterari e artistici parigini, amico intimo di molti pittori e poeti, tra cui Stéphane Mallarmé e Paul Verlaine, influenzato dal movimento simbolista francese, affascinato dalla dimensione misteriosa della realtà, del sogno, dalla musicalità della parola, condivide con gli impressionisti l’attenzione per la natura, interpretandoli con un nuovo linguaggio musicale, ribellandosi, però, a qualsiasi categorizzazione, riguardo la collocazione critica delle sue opere. In una lettera al suo editore Jacques Durand considera: «Sto cercando di fare ‘qualcosa di diverso’ – in qualche modo, delle realtà – ciò che gli imbecilli chiamano ‘impressionismo’, termine questo impiegato malissimo, soprattutto dai critici d’arte».

La sua musica, sempre, di qualità molto alta è intellettuale e raffinatamente allusiva, arcaizzante sembra non attendere popolarità ed è poco eseguita. Nei 24 Preludi per pianoforte, che appartengono al periodo ‘maturo’ di Debussy, il cui ascolto è paragonabile a una serie di visioni colme di squisita poesia musicale, il suo linguaggio, caratterizzato da una ricercata libertà formale, nel rifiuto di qualsiasi forma codificata, diviene, sempre più, originale, descrittivo e simbolico. Veri e propri quadri dal fascino suggestivo, entrati nel repertorio di ogni pianista, come pure nelle preferenze degli ascoltatori.

I Préludes di Debussy sono suddivisi in due libri di 12 brani, pubblicati, rispettivamente nel 1910 e nel 1913. Nel titolo e nel numero è evidente il riferimento all’opera omonima di Fryderyk Chopin, ispiratosi, a sua volta, ai 48 preludi de Il clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach. E Madame Mautet de Sivry, sua mentore, suocera del poeta Verlaine, a sua volta, allieva di Chopin, rappresenta il legame storico tra il compositore francese e il maestro polacco. Alla «memoria di Fryderyk Chopin», Debussy dedica l’ultima delle sue opere per pianoforte, i Dodici studi dando testimonianza della sua inalterata ammirazione, verso di lui.

 Les fées sont d’exquises danseuses occupa il quarto posto nel Deuxième livre dei Préludes, preceduto da La Puerta del Vino e a cui segue Bruyères. Qui, Debussy, con concretezza sonora ci trasporta nel mondo affascinante delle fate che, tra numerose facoltà e poteri, sono danzatrici eccellenti. Secondo alcuni commentatori il titolo, indicato in corsivo e tra virgolette, farebbe riferimento alla didascalia di un’illustrazione di Arthur Rackham, creata per il Peter Pan in Kensington Gardens di James Matthew Barrie, che raffigura una suggestiva danza di fate.

Nell’intero racconto, le fate hanno un’importanza straordinaria, con l’immancabile bacchetta magica trascendono ogni limite umano, diventando dispensatrici di doni e gioie, riparatrici di torti e ingiustizie. Poteri sorprendenti riflessi efficacemente nelle suggestive illustrazioni a colori e nelle rispettive didascalie, contenute nel libro apparso ai primi del novecento. Un classico della letteratura anglosassone che non poteva mancare tra i libri illustrati di Chouchou, adorata figlia di Debussy, affidata alle cure di un’istruttrice inglese. A lei, qualche anno prima di comporre i Préludes, dedica la deliziosa Suite per pianoforte Children’s Corner (L’angolo dei bambini), dove alcuni dei suoi molti giocattoli divengono protagonisti del brano.

Ed è, sicuramente, nella stessa stanza dei giochi della sua bambina, che Debussy trova ispirazione al suo preludio, sfogliando il racconto dello scrittore e drammaturgo Barrie, nominato baronetto per i suoi meriti letterari, proprio nel 1913. Libro, regalatole, probabilmente, da lui stesso o procuratole dall’istruttrice. A folgorarlo è un disegno, raffigurante una fata che canta sospesa sul filo di una tela di ragno, mentre quest’ultimo l’accompagna al violoncello e, insieme, le parole della didascalia, tanto da sceglierla a titolo del suo quarto preludio. Una simile citazione non poteva lasciare indifferente il compositore francese, che attraverso i suoni ha saputo trasformare in eterea la realtà e dare concretezza a figure immateriali.

In questo Preludio in Re bemolle maggiore, con l’indicazione ‘Rapido e leggero’, il compositore fa apparire le sue fate volteggianti, con l’agilità aerea di un turbine, lasciandole, poi, alquanto indecise al ‘Rubato’ della pagina successiva. Così, egli trascrive in musica la grazia e la vivacità dell’illustrazione intrecciando movimenti di danza, languidi e voluttuosi, con richiami a temi di valzer. Repentini cambi di tempo e l’evanescente leggerezza della scrittura rendono il brano virtuosistico, ricco di abbellimenti, tra cui numerosi trilli, dal richiamo dolce e sognante e arpeggi rapidi e leggeri. Fino al dissolversi nell’aria del geniale sortilegio operato in musica, nel magico mondo delle fate, attraverso uno stile personalissimo fatto d’immagini e allusioni.

Alfred Cortot, nel sintetizzare la magia di un’arte che, con geniale varietà e freschezza, nei Preludi sembra aver perfezionato il suo eccezionale potere evocativo, considera: «invece di agire sentimentalmente sul nostro organismo con la patetica sollecitazione di un’emozione personale, invece di creare, bella di linee e di forme, l’architettura sonora, che col suo puro ordine sappia soddisfare il nostro spirito, ecco che quasi a nostra insaputa, con la voluttà segreta di due accordi congiunti, la nervosità vibrante di un ritmo o il mistero di un silenzio, egli ci scocca nel vivo della sensibilità quella freccia che col suo insinuante e delizioso veleno produrrà in noi, intensa come nella realtà la sensazione da lui predisposta».

I titoli, posti alla fine di ogni pezzo, tra parentesi, preceduti da puntini di sospensione, costituiscono, sicuramente, un significativo ornamento letterario, utile a valorizzare, con umiltà, le raffinate preziosità musicali di ogni preludio.

 

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