Intervista al Gran Trio: Davide Alogna, Giulio Tampalini, Simonide Braconi

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di Salvatore Sclafani, Stefano Teani

Oggi, Sabato 26 settembre alle 18:30, il violinista Davide Alogna, il chitarrista Giulio Tampalini e il violista Simonide Braconi, grandi solisti italiani del panorama musicale internazionale, saranno protagonisti di un insolito concerto in trio nella cornice di Palazzo Farnese di Caprarola per i Concerti dell’Accademia degli Sfaccendati. L’evento chiude la programmazione 2020 di “Suoni Farnesiani” ed è inserito nelle Giornate Europee del Patrimonio 2020.
Noi di TGmusic.it abbiamo voluto dedicare a questi musicisti uno spazio speciale con un’intervista tripla, firmata dai nostri tre redattori-musicisti, per farci raccontare di quest’evento imminente, delle loro reciproche collaborazioni e dei loro progetti personali.

 

Musicista eclettico, fermamente convinto della necessità di diffondere il repertorio della musica classica al grande pubblico attraverso forme nuove e sempre diverse, Davide Alogna è fra i violinisti italiani di spicco della scena contemporanea internazionale. Docente di violino al Conservatorio di Reggio Calabria, da poco è anche direttore artistico della Malta Classical Music Academy.

 

In questa particolarissima formazione, che forma prenderà l’interazione fra le vostre diverse personalità musicali?

Sicuramente, il brano centrale del nostro programma di sabato 26 è la Serenata n. 2 in re maggiore, op. 8 di Ludwig van Beethoven e vuol essere un omaggio al compositore tedesco nel duecentocinquantesimo anniversario della nascita. Opera originariamente composta per trio d’archi, la Serenata è stata in seguito arrangiata per violino, viola e chitarra dal ceco Wenceslaus Matiegka, contemporaneo di Beethoven. È una composizione che appare già estremamente complessa nella sua forma originaria, e a mio avviso ulteriormente interessante e stimolante nella trascrizione che noi proponiamo.

Giovanna Manci, direttrice artistica dei Concerti dell’Accademia degli Sfaccendati e grande comunicatrice di arte e cultura, è costantemente attenta nel proporre concerti che stimolino la curiosità e l’interesse del pubblico. Per questo, la performance sarà molto dinamica, “a geometria variabile”: oltre alla nostra interpretazione in trio della Serenata, ciascuno di noi eseguirà in duo brani di Niccolò Paganini, composizioni che richiedono una certa destrezza e un sapiente amalgama tra le parti. Concluderemo poi con dei brani fuori programma, in cui ci esibiremo da solisti. Sarà un concerto dinamico e presenteremo le opere in programma, cercando di creare il massimo coinvolgimento del pubblico.

 

Hai già suonato spesso in duo con Giulio Tampalini e Simonide Braconi, ma questa volta dividerete in tre la stessa scena. Da dove nasce quest’idea?

Semplicemente, ho voluto riunire tre amici che fanno musica e che si vogliono bene. Suoniamo spesso da soli o in duo e già ci divertiamo tanto: perché allora non riunirci tutti e tre? Inoltre, l’unione fa la forza quando si vogliono creare progetti. Collaboro con Giulio e Simonide da così tanti anni che il nostro rapporto ci permette di ritrovarci spontaneamente nella musica, senza aver bisogno di troppi giri di parole per capirci e convergere su ciò che musicalmente cerchiamo. Certo, la riflessione e il confronto sull’interpretazione sono sempre presenti durante le prove, ma è anche vero che ormai costituiscono degli elementi sui quali concordiamo con una certa spontaneità: penso che la musica sia anzitutto una gioia da condividere, e l’amicizia in musica fa sì che non ci sia quasi bisogno di tante parole per capirsi. Sai, fa piacere stare fra amici, poi si se si fa musica insieme è ancora meglio!

 

Nei tuoi concerti hai già proposto delle collaborazioni importanti con degli attori di teatro: cosa apporta quest’elemento, nell’ambito di una tua performance musicale?

Credo che la collaborazione con un attore conosciuto e apprezzato amplifichi ulteriormente il messaggio della musica classica e avvicini a essa il grande pubblico. Oggi, appare inevitabile pensare a nuove formule che suscitino l’interesse e la curiosità di un pubblico sempre diverso, e vasto allo stesso tempo. La musica classica non può più limitarsi a un numero ristretto di spettatori e credo ci manchi ancora quello scatto utile a creare un vero contatto con il grande pubblico.

Il progetto “La leggenda Paganini”, per esempio, che nasce da un’idea di Filippo Michelangeli, è una reazione alla frequente constatazione che il nome di Paganini non dice nulla alle persone. Pensa che una volta mi è stato anche detto «Paganini il giocatore dell’Atalanta?». Ma Paganini è una rockstar e la gente deve conoscerlo! Per questo, abbiamo pensato con il chitarrista Giulio Tampalini di presentare e far conoscere ad una platea la più ampia possibile il repertorio paganiniano per violino e chitarra. Il programma alterna composizioni per strumento solista a brani in duo ed è accompagnato dal filo rosso della narrazione, affidata all’attore Paolo Sassanelli, di un testo appositamente scritto da Bianca Melasecchi, Filippo Michelangeli e lo stesso Sassanelli.

Sulla stessa scia si installa “Per Elisa”, un altro spettacolo che mi sta molto a cuore e si incentra sul tema dell’amore nella vita di Beethoven. Il progetto, che vede la partecipazione dell’attrice Violante Placido come voce recitante e del pianista Giuseppe Greco, presenta sia brani originariamente composti per violino e pianoforte, come la Sonata per pianoforte e violino in la maggiore n.9, op. 47 “A Kreutzer”, sia trascrizioni per violino e pianoforte realizzate appositamente, fra cui le Romanze per violino solo.

 

Ultimamente, la tua incisione delle Sonate di Ermanno Wolf-Ferrari, in duo col pianista Costantino Catena, è stata proposta nel numero estivo della rivista Suonare News. È un lavoro che si inserisce nel tuo progetto di riscoperta del repertorio italiano del Novecento?

Senza dubbio. Si tratta della prima incisione di queste Sonate dopo trent’anni ed è stata realizzata al Palazzo Chigi di Ariccia. Inoltre, verrà ripubblicata a fine 2020 per l’etichetta Brilliant Classics. Ermanno Wolf-Ferrari è un compositore molto particolare, contemporaneo ai protagonisti della generazione dell’Ottanta, a tratti sperimentale, ma fondamentalmente legato alle estetiche musicali del passato. Tengo molto alla valorizzazione e alla diffusione del repertorio violinistico italiano del Novecento, spesso ingiustamente trascurato o perfino dimenticato: come studioso e interprete, mi sono dedicato con passione alla riscoperta di opere di Ottorino Respighi, Guido Alberto Fano, Marco Omizzolo e Mario Castelnuovo-Tedesco, attraverso la realizzazione di revisioni, incisioni inedite e prime assolute nazionali e mondiali.

 

Oltre alla tua attività concertistica, sei estremamente attivo anche nella pedagogia. Pensiamo ad esempio al Progetto Rode da te ideato e diffuso online dagli Istituti Italiani di Cultura di tutto il mondo.

L’insegnamento è un elemento fondamentale per un musicista e puoi capire tante cose di te stesso insegnando. In questo periodo, ho potuto continuare a svolgere la mia attività pedagogica in Conservatorio ed essere membro di giuria agli esami, anche attraverso la didattica a distanza. In considerazione delle esigenze attuali di forme alternative di comunicazione e di contatto, il Progetto Rode nasce dall’intenzione di aiutare gli allievi violinisti a continuare nella pratica quotidiana dello strumento durante i mesi più duri della pandemia. Mi piace pensare che tutti i violinisti giovani sono un po’ nostri allievi. Per questo, ho deciso di proporre a degli illustri colleghi, oltre che a maestri della generazione precedente e a violinisti giovani ma già affermati, di contribuire a questa proposta a vantaggio dei nostri giovani studenti. I docenti di oggi devono accompagnare le nuove generazioni e questo progetto vuole avvicinare i futuri violinisti ai grandi interpreti e al grande repertorio in maniera franca e onesta. 24 violinisti (tutti amici, tengo a sottolineare) hanno interpretato i 24 Capricci per violino solo, op. 22 di Pierre Rode riprendendosi con uno smartphone, in una dimensione casalinga particolarmente distesa e rilassata, quasi familiare, senza trucco e senza inganno, a differenza di come avviene delle incisioni moderne, ormai troppo “perfette”: nessun taglio è stato infatti apportato alle riprese, in modo da mostrare concretamente e naturalmente agli allievi come preparare uno studio e risolvere le difficoltà tecniche che esso presenta.

Quest’iniziativa è stata poi seguita da un altro progetto in rete, Bach & Telemann 2020, sull’integrale delle Sonate e Partite per violino di Bach e le Fantasie per violino di Telemann, in collaborazione con l’Accademia di Santa Sofia e diffusa su YouTube grazie a Suonare News e al CIDIM. Così come per il Progetto Rode, Bach & Telemann 2020 mi ha visto coinvolgere diversi colleghi italiani di fama internazionale e i brani diffusi sono stati registrati…da casa!

 

Fra i tuoi prossimi impegni, c’è qualcosa che ti sta particolarmente a cuore?

In effetti, proprio da pochissimo sono stato nominato direttore artistico dell’Accademia dell’InClassica Malta International Music Festival, e con l’occasione desidero ringraziare in particolare Konstantin Ishkhanov, presidente dell’European Fondation for Support of Culture. Il Festival avrà luogo fra il 17 Aprile e l’11 Maggio 2021 e proporrà al suo pubblico concerti con interpreti leggendari, come Martha Argerich, Grigory Sokolov, Maxim Vengerov, Gidon Kremer, Steven Isserlis e altri grandi. Io mi occuperò dell’organizzazione delle masterclass, dedicate ad allievi violinisti. Saranno presenti diciotto grandissimi didatti provenienti da tutto il mondo, come Boris Kuschnir, Zachar Bron e Carmine Lauri, e gli studenti potranno scegliere sei diversi insegnanti ogni settimana e avere accesso ai concerti ogni sera. Le informazioni sull’accademia verranno presto pubblicate online e le condizioni economiche saranno particolarmente vantaggiose. Sarà la festa della musica mondiale, della musica come linguaggio universale capace di creare un ponte fra popoli e culture diverse. Sono onorato di questo ruolo, ancora una volta al servizio dei nostri allievi, ed entusiasta all’idea di contribuire a facilitare la creazione di un contatto fra loro e con musicisti di valore universale.

Faro delle nuove generazioni, punto di riferimento imprescindibile nel concertismo e nella didattica chitarristica, uomo di straordinaria vitalità e contagioso ottimismo. Parliamo di Giulio Tampalini, bresciano, classe 1971, già docente del Conservatorio di Adria e Rovigo, della prestigiosa Accademia di Imola e dell’Accademia Internazionale della Chitarra, di cui è anche direttore.

 

La formazione delle nuove generazioni ti sta enormemente a cuore. Di solito, si domanda cosa l’insegnante cerca di trasmettere ai suoi studenti, ma in questo caso vorremmo sapere se, in tutti questi anni, c’è qualcosa che loro hanno insegnato a te.

L’esperienza dell’insegnamento fa crescere sia gli allievi che i docenti. Essere a contatto con gli studenti, con i loro sogni, le loro aspirazioni “tiene aggiornato il software”, perché il ventenne di oggi è diverso da quello che ero io. Anche la sensibilità attuale è cambiata, ma la mia idea fondamentale è sempre la stessa: crescita e miglioramento. Io desidero farli diventare artisti nella maniera più originale e personale possibile. Ci sono tanti principi, tante regole nell’Arte, ma l’obiettivo è liberarsene, imparare tutto e dimenticare tutto. L’incontro con così tanti studenti è stato sempre fonte di arricchimento per me: loro mi insegnano ogni giorno a non perdere mai la freschezza, lo stupore e l’immaginazione, l’energia creativa che cerco e di cui sono così pieni.

 

In un’intervista del 2007, alla domanda di Filippo Michelangeli sul perché i chitarristi italiani non si riuscissero a imporre nello scenario internazionale, dicesti di essere fiducioso per il futuro, perché avevamo tanti giovani di talento e il successo individuale sarebbe arrivato. Tredici anni dopo, cosa è cambiato?


Era come dicevo io (ride). L’italianità è un valore grande di cui dobbiamo essere consci, è capacità di empatia nell’opera, nelle Arti, è una sensibilità particolare nei confronti delle emozioni e i sentimenti. Già da qualche anno i nostri connazionali vanno affermandosi in tutto il mondo: penso ad Andrea De Vitis, Carlotta Dalia, Aniello Desiderio, Luigi Attademo e a tanti altri. Ci sarebbe, poi, da capire cosa accade a livello europeo. Il concetto di “estero” è abbastanza relativo perché la chitarra ha le sue aree geografiche, un po’ come la liuteria o la tecnologia: sulle scene internazionali ci sono molti chitarristi dell’Est o della Germania rispetto a quelli inglesi, per esempio. Infine, direi che siamo oggettivamente molto bravi.

 

Hai inciso decine di dischi da solista (il primo nel 1996, a 25 anni, dopo aver vinto il Concorso “De Bonis” di Cosenza, n.d.r.), abbracciando un repertorio decisamente vasto, interpretando anche autori moderni e contemporanei, in lavori come Strong Emotions o Contemporary Guitar. Qual è lo spazio per i nuovi compositori nel panorama chitarristico attuale? Tu cosa prediligi in una nuova composizione?

Io nasco dalla musica contemporanea, non a caso Antonio Giacometti (compositore, didatta, già consigliere della Società italiana di Analisi Musicale, n.d.r.) è un mio parente stretto. Da bambino ho appreso la musica anche attraverso la sperimentazione e già da ragazzo ho frequentato i corsi di Darmstadt, o i festival olandesi nell’ambito della Gaudeamus Foundation. Il contatto col compositore è per me vitale, soprattutto perché produce qualcosa nel momento stesso in cui viviamo. Ho amato la possibilità di cullare insieme un’opera grazie a questo dialogo, cercando il modo migliore di farla vivere nel mondo. La fase delle grandi avanguardie, fino alla fine degli anni Novanta, si è un po’ esaurita. Credo che oggi ci sia ancora la necessità di nuove composizioni, ma bisogna indagare il legame tra complessità e capacità espressiva, un’unità di opposti che amo particolarmente. Penso anche che un concerto “tradizionale” si vivifichi grazie alla musica contemporanea e, con essa, quella del passato acquista un altro colore.

 

Quali sono le emozioni che dall’inizio di quest’anno ti hanno accompagnato fino a oggi? Considerando il lungo rapporto di amicizia, oltre a quello professionale, che ti lega a Davide Alogna e Simonide Braconi, che valore ha questo concerto del 26 settembre?

Credo di aver provato tutte le emozioni possibili durante il lockdown, dallo stupore iniziale, alla perplessità, all’incertezza, da una certa demoralizzazione, alla speranza, dalla gioia alla delusione. Ho comunque deciso di continuare a produrre musica e sono felice di averlo fatto. Tendo a pensare che questa esperienza possa davvero averci migliorato e spero che questa memoria storica ci aiuti a vivere meglio, in futuro.

Il concerto del 26 settembre lo attendiamo da tempo, è stato programmato circa un anno fa. Non è “saltato” come purtroppo è successo per tanti altri, quindi bisogna essere contenti di questo. Tra di noi abbiamo suonato in duo diverse volte, ma volevamo esplorare le possibilità timbriche di questo trio. Abbiamo fatto delle ricerche specifiche, sia per i pezzi originali che per le trascrizioni, scoprendo della musica bellissima. Per il resto, certamente c’è una grande amicizia che ci lega e come si dice spesso, i concerti sono dei grandi momenti soprattutto per quello che accade dopo.

 

C’è qualche prossimo progetto di cui ci vuoi parlare?

Ce ne sono tanti, a dire il vero. Io e altri colleghi stiamo cercando di rilanciare l’immagine del nostro paese, attraverso alcune registrazioni video in location magiche. Ho in programma altre produzioni discografiche come l’integrale di Luigi Legnani per chitarra e un altro disco con Daniele Fabio, straordinario chitarrista e compositore calabrese. C’è anche l’intenzione di registrare con Simonide Braconi e Davide Alogna, ma non diciamo nulla per ora. Per quanto riguarda i concerti e i festival, dipende da come si evolverà la situazione della pandemia, non solo in Italia, ma anche all’estero.

Simonide Braconi, da 25 anni prima viola della Scala di Milano, compositore eclettico pubblicato da Sonzogno e virtuoso della viola d’amore. Ha costituito il Quartetto d’archi della Scala compiendo tournée in Sudamerica, Stati Uniti, Francia, Germania e Giappone. Membro di giurie di concorsi internazionali, è regolarmente invitato a tenere corsi in istituzioni a Roma, Portogruaro, Gubbio, Sion, Biella. Inoltre, è docente presso la Scuola Musicale di Milano.

 

Quando e come è nato questo trio così particolare?

È nato in maniera naturale dall’amicizia che mi lega da tempo a Giulio e Davide. Abbiamo già suonato insieme, collaborando in diverse formazioni. Come trio, sicuramente molto inusuale, ci siamo incontrati circa un anno fa a Como per un concerto e quello del prossimo sabato (26 settembre) sarà il nostro secondo evento insieme, con un programma molto simile e stimolante. Il sodalizio che si è creato è interessante anche dal punto di vista timbrico, perché unisce colori strumentali molto diversi e ci porta a cercare arrangiamenti nuovi e particolari.

Oltre ad essere un violista di prim’ordine, ti dedichi anche allo studio della viola d’amore.

È uno strumento poco frequentato, in Italia in particolare, un po’ desueto ma di grande fascino. È completamente diverso dalla viola e piuttosto impegnativo perché ha sette corde, accordato per terze e quarte; in pratica bisogna resettare completamente tutto e rimettersi a diteggiare e a studiare da capo. Ad ogni modo mi dà molta soddisfazione, ho già eseguito i concerti di Vivaldi, molta musica barocca e ho anche scritto un brano ad hoc. Nei miei recital capita spesso che debba cambiare strumento durante il concerto, passando dalla viola normale a quella d’amore. Proprio di recente si sono affacciati due progetti importanti: il primo, a Gennaio, con l’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto dove dovrò suonare la Kammermusik di Hindemith, un concerto per viola d’amore e orchestra; il secondo, a Ottobre, prevede l’incisione discografica, con l’Orchestra di Trieste, di tutta la musica di Ghedini, compositore del primo Novecento italiano che ha scritto dei brani per violino e orchestra, viola e orchestra, e violoncello e orchestra. Sarò affiancato da Massimo Quarta al violino ed Enrico Bronzi al violoncello. Eseguirò quello scritto per viola, la cui seconda parte è affidata proprio alla viola d’amore, quindi dovrò cambiare strumento “in corsa”.

Svolgi anche un’intensa attività compositiva, so che pubblichi con Sonzogno. Che ruolo ha, per te, l’attività compositiva?

Sì, ho studiato composizione a Roma subito dopo il diploma in viola. Successivamente l’ho abbandonata per poi riprenderla una decina di anni fa. Ho ricominciato a scrivere dedicandomi soprattutto al mio strumento, componendo per viola e pianoforte, viola e orchestra, musica per archi, quartetti. È sempre stata una mia grande passione, purtroppo richiede molto tempo che spesso mi manca, però cerco comunque di ritagliarmi un po’ di spazio da dedicarle. È qualcosa che davvero mi realizza, che libera la mia fantasia musicale e mi dà la possibilità di esprimermi totalmente. Adesso avrò due date, una per l’Unione Musicale di Torino e una per gli Amici della Musica di Perugia, in cui mi hanno commissionato un quintetto da affiancare a La Trota di Schubert. Ho pensato di fare delle variazioni in chiave Schubertiana e dunque, per omaggiarlo, le ho chiamate Variazioni après-Schubert.

Il prossimo 26 settembre eseguirà anche un sonata di Paganini per Grand Viola, ce ne vuoi parlare?

Si tratta di un brano per viola e chitarra, scritto originalmente per una Grand Viola, strumento a cinque corde che univa la tessitura del violino a quella della viola. Sembra che poi lui, col suo eccezionale virtuosismo, riuscisse a eseguirlo anche su una viola normale, impresa che tenterò anche io in questo concerto. Si tratta di un brano estremamente impegnativo, molto focalizzato sul registro acuto dello strumento. Lo stesso Paganini ne ha realizzato due versioni, una con l’orchestra sinfonica e una con la chitarra, perché era egli stesso un ottimo chitarrista. È sicuramente un brano molto interessante, che presenta la viola in chiave virtuosistica, proponendo così un’immagine diversa rispetto a quella a cui siamo abituati.

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