di Smeralda Nunnari
«La musica è la cosa che più assomiglia a un’idea pura. La musica è l’idea fatta cosa fuori di noi.» (Tiziano Scarpa, Stabat Mater)
Antonio Vivaldi, violinista e compositore veneziano dell’epoca barocca, detto il prete rosso per il colore dei suoi capelli, nel 1712 compone lo Stabat Mater, su commissione della confraternita bresciana di Santa Maria della Pace, poco prima di prendere il posto di maestro di coro del collega Francesco Gasparini, presso l’Ospedale della Pietà a Venezia. Dove scrive per le sue allieve mirabili pagine, sempre più numerose, di musica sacra, tra una produzione musicale che conta più di ottocento composizioni.
Charles de Brosses, filosofo-cronista, dopo aver ascoltato in concerto le giovani interpreti della musica vivaldiana, scrive: «La musica eccezionale è quella degli Ospedali dove le “putte” cantano come gli angeli e suonano il violino, l’organo, l’oboe, il violoncello, il fagotto; insomma non c’è strumento che le spaventi.»
Lo Stabat Mater, RV 621, in fa minore, prima opera di musica sacra vocale vivaldiana, viene strutturato sulle prime dieci strofe delle venti, che compongono il testo latino medievale, con lo schema di rime AABCCB, attribuito a Jacopone da Todi, poeta mistico del XIII secolo. Il brano, con affascinante teatralità, mostra tutta la grande abilità strumentale ed armonica del compositore veneziano.
Nella composizione cupa e serrata del prete rosso, che traspone in musica il dramma del Golgota, il dolore della Madonna si fa collettivo e diventa universale. In un dialogo tra voci e strumenti, l’inno si apre con un Largo maestoso, sulla prima stanza: «Stabat Mater dolorosa / Iuxta crucem lacrimosa, / Dum pendebat Filius.» (Stava la Madre addolorata, / presso la croce, in lacrime, / mentre pendeva il Figlio). Su un Adagissimo, segue la seconda strofa: «Cuius animam gementem, / Contristatam et dolentem, / Pertransivit gladius.» (La cui anima gemente, / addolorata e trafitta, / fu trapassata dalla spada). Procede con un Andante, sulle parole: «O quam tristis et afflicta / Fuit illa benedicta / Mater Unigeniti! / Quae moerebat et dolebat, / Pia Mater, dum videbat / Nati poenas inclyti.» (Oh, quanto triste e afflitta / fu quella benedetta / Madre dell’Unigenito! / Ella gemeva e soffriva, / la pia Madre, mentre vedeva / le pene del Figlio glorioso). Continua con un Largo: «Quis est homo qui non fleret, / Christi Matrem si videret / In tanto supplicio?» (Chi è l’uomo che non piangerebbe / nel vedere la Madre di Cristo / in così grande supplizio?). Ritorna con l’Adagissimo su: «Quis non posset contristari / Christi Matrem contemplari / Dolentem cum Filio?» (Chi potrebbe non affliggersi / contemplando la Madre di Cristo / sofferente col Figlio?). E, ancora, l’Andante: «Pro peccatis suae gentis / Vidit Iesum in tormentis, / Et flagellis subditum. / Vidit suum dulcem natum / Moriendo desolatum, / Dum emisit spiritum.» (Per i peccati del suo popolo / ella vide Gesù nei tormenti, / sottoposto ai flagelli. / Vide il suo dolce Figlio / morente, abbandonato, / mentre rendeva lo spirito). Un Largo su: Eia Mater, fons amoris, / Me sentire vim doloris, / Fac, ut tecum lugeam. (Ah, Madre, fonte d’amore, / fa’ che io senta la forza del dolore, / fa’ che con te io pianga). Infine, un Lento: «Fac ut ardeat cor meum / In amando Christum Deum, / Ut sibi complaceam.» (Fa’ che arda il mio cuore / nell’amare Cristo Dio, / affinché io gli sia gradito). E chiude un Allegro con «Amen.»
Il brano d’intensa profondità musicale, scritto per contralto, archi e basso continuo, resta l’opera sacra più nota di Vivaldi ed ha segnato, nel XX secolo, la renaissance dell’artista veneziano che, famoso in vita, più del suo coevo Bach, cade nell’oblio. Solo dopo oltre due secoli di silenzio, l’inno sacro viene rappresentato al pubblico, nel 1939, insieme ad altre significative composizioni vocali di musica sacra, durante il Festival vivaldiano, voluto dal compositore Alfredo Casella, presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena.
Oggi, Vivaldi, è uno tra i compositori di musica barocca più interpretati ed apprezzati. Un geniale artista capace di emozionare e trascrivere sui suoi infiniti pentagrammi l’anima, ogni sublime sentire, la bellezza della natura e quella divina, attraverso forti contrasti sonori, con incanti melodici ed armonie semplici e suggestive.
Tra numerosi libri, dedicati al prete rosso, lo Stabat Mater dello scrittore veneziano Tiziano Scarpa diventa un tributo alla musica di Vivaldi ed alle sue allieve, le giovani orfane abbandonate e segregate nell’Ospedale della Pietà, dove la “Mater” non è presente, come nella sequenza di Jacopone da Todi. Ma è presente nella «marea di pensieri amari… neri», che angosciano la protagonista del romanzo: Cecilia suona il suo violino, con le altre ragazze, dietro una balaustra, seminascoste da grate metalliche, ma le sue riflessioni riescono, spesso, ad annientare la sua volontà di vivere, facendola sprofondare nel buio. Unico rimedio è raggiungere il suo angolino segreto, in cima alle scale e scrivere ad una madre senza volto, ma che nella sua mente acquista mille volti e mille nomi, mettendo a nudo il proprio animo, i propri conflitti interiori. Attraverso queste lettere scritte sugli interstizi di vecchi spartiti, tra righi e pentagrammi musicali, unica carta a lei disponibile, oltre a manifestare i propri tormenti, Cecilia cerca di scrutare nell’animo di una madre che non ha mai conosciuto, sperando di catturarla, con i suoi pensieri, ragionando sulle diverse possibilità che hanno portato questo fantasma della sua vita a rinnegarla.
Auguro a tutti una Pasqua, piena di luce e speranza, tale da cancellare ombre, oscurità ed incertezze!
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