di Stefano Teani
“La musica, unica tra le arti, è sia completamente astratta che profondamente emotiva. Non ha il potere di rappresentare qualcosa di particolare o esterno, ma ha un potere unico di esprimere stati o sentimenti interiori.”
Oliver Sacks, Musicofilia
Il mistero del piacere musicale.
Perché una melodia ci fa piangere? Come mai un semplice accordo può darci la pelle d’oca? E cosa accade nel nostro cervello mentre ascoltiamo una fuga di Bach o un adagio di Mozart?
La scienza ha iniziato a rispondere a queste domande solo di recente, ma la filosofia e la musica le hanno poste da sempre.
L’ascolto musicale non è mai un atto neutro: coinvolge memoria, emozione, previsione e attenzione. È un’esperienza tanto fisica quanto mentale, che unisce biologia, estetica e mistero.
Le neuroscienze hanno ormai dimostrato che ascoltare musica attiva tutte le principali aree del cervello:
- Sistema limbico: coinvolto nelle emozioni.
- Corteccia prefrontale: associata all’anticipazione e alla pianificazione.
- Nucleo accumbens: parte del circuito della ricompensa, rilascia dopamina.
- Cervelletto: coordina il movimento e il ritmo.
Un brano musicale ben costruito crea attese e sorprese, e il nostro cervello ricompensa la soddisfazione di queste previsioni con un rilascio di dopamina, la stessa sostanza coinvolta nel piacere fisico o nell’innamoramento.
Filosofia dell’ascolto: Merleau-Ponty, Sacks e l’incarnazione del suono.
Se le neuroscienze ci dicono cosa accade nel cervello, la filosofia ci invita a chiederci cosa significa davvero ascoltare.
Per Maurice Merleau-Ponty, l’ascolto non è un atto mentale astratto, ma un’esperienza incarnata:
“Percepire è entrare in un mondo abitato di significati.”
L’udito non si limita a registrare suoni: li interpreta, li vive, li trasforma in esperienze soggettive.
L’ascolto musicale, in particolare, ci restituisce il tempo in forma densa e vissuta, trasformando ogni istante in un’emozione.
Lo stesso Oliver Sacks, neurologo e grande appassionato di musica, parlava della musica come di un “potente accesso alle emozioni e alla memoria”, capace di far riaffiorare ricordi anche nei pazienti affetti da gravi forme di demenza.
Ma possiamo davvero ridurre la bellezza musicale a una questione di sinapsi e dopamina?
La risposta è no. Le neuroscienze spiegano come reagiamo, ma non perché ci emozioniamo in quel modo davanti a un certo tipo di suono.
È qui che entra in gioco la cultura, la storia e la nostra formazione estetica.
La musica classica ci parla attraverso convenzioni condivise, forme armoniche sedimentate, tensioni che abbiamo imparato a riconoscere e amare.
Come diceva Hans-Georg Gadamer, l’esperienza estetica non è mai puramente individuale:
“L’opera d’arte non esiste solo nel suo essere, ma nell’essere compresa.”
Conclusione: un ascolto consapevole, tra scienza e meraviglia
Comprendere cosa accade nel nostro cervello mentre ascoltiamo non riduce il mistero della musica: lo arricchisce.
Sapere che il nostro sistema nervoso reagisce a una sinfonia come a una dichiarazione d’amore non sminuisce la musica, ma ci restituisce la sua potenza originaria.
In un’epoca di rumore costante, l’ascolto consapevole può essere un atto rivoluzionario.
Non solo ci connette a qualcosa di più grande, ma ci riconsegna a noi stessi.
Riferimenti bibliografici.
- Sacks, O. (2007). Musicofilia. Adelphi.
- Levitin, D. J. (2006). This Is Your Brain on Music: The Science of a Human Obsession. Dutton Penguin.
- Merleau-Ponty, M. (1945). Fenomenologia della percezione.
- Gadamer, H.-G. (1960). Verità e metodo.
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